Fu proprio l’Alfa Romeo ad inaugurare la categoria più bella, affascinante e gloriosa del motorsport, quando, a cavallo del giro di boa del secolo scorso, si affermò come prima casa costruttrice a porre la firma all’iride. Già, la casa del biscione vinse i primi due mondiali di Formula 1, giusto per battezzare la nuova formula, soprattutto per lasciare un segno indelebile, un testimone, poi, che avrebbe visto nella Ferrari la discendente capace di rendere regina incontrastata quella competizione tra autovetture velocissime, a ruote scoperte, tutte diverse, unica ed inimitabile nel suo genere. Una esperienza pionieristica, le prime pagine di una favola dai significati più ampi, un comune denominatore, quell’italianità a motore che si sarebbe distinta per assoluto prestigio, fino a connotarsi in un immaginario leggendario per eccellenza.
Una storia, quasi, secolare quella dell’Alfa Romeo, in cui ha saputo far parlare di se, nel bene, nel male, nelle competizioni. Qui e lì, a tratti. Pur sempre presente con dignità, sovente con grande fama. Il tutto, senza disdegnare qualunque categoria, portando e custodendo con orgoglio quel brand di sportività, semplice, volendo simbolicamente inadeguato, quale è tutt’oggi il Quadrifoglio. Una sorta di ciliegina sulla torta, un marchio nel marchio, il sigillo al carattere sportivo dei gioielli automobilistici nati per le corse. Un simbolo di velocità nell’eleganza, tutto italiano, il trionfo di quella meccanica di precisione che faceva dell’artiginalità la chiave del suo successo.
Si potrebbero ricordare i fasti delle prime monoposto campioni del mondo in F1, la 158 di Nino Farina, 1950, la 159 del grande Juan Manuel Fangio, 1951.
Eppure potrebbe avere ancor più valore la menzione di vetture normali, comuni prodotti commerciali, diventate icone intramontabili degli sport motoristici, poiché concepite con l’anima di sportiva stradale. Pensate per la massima espressione in pista. E allora, come non ricordare, l’Alfa Romeo 155, la capostipite di una serie vincente, che trovò nel modello successivo l’evoluzione, rivoluzione. La più assoluta sublimazione, la nome in codice 156. Una dominatrice incontrastata per un manipolo di anni, grazie a cotanto pilota rispondente al nome di Fabrizio “Piedone” Giovanardi, rigorosamente a trazione anteriore, capace di battere fino allo spasmo le tradizionali concorrenti tedesche a trazione posteriore nell’ETCC. Un gioiellino di ingegneria, vincente anche sul viale del tramonto grazie all’amico di Felipe Massa, il bravo Augusto Farfus, con cui riuscì a strappare le ultime soddisfazioni sulle rivali di sempre.
Sta proprio qui la grandezza del biscione, una essenza di adrenalina sportiva a prezzo di fabbrica, alla portata di chiunque, a completa disposizione dei comuni mortali. Un vessillo del popolo, innanzitutto, di quella passione motoristica viscerale dell’italiano medio, nonché un vero e proprio stile di vita.
Io sono un “Alfista”, ho avuto sempre e solo Alfa Romeo!
Questa, la frase classica di chi ha la casa milanese nel cuore, nella quale trova le sensazioni della sportività nella vita di tutti i giorni. Con la quale trascorre momenti di piacere di guida, sognando, per un banale tratto di dritta via, di essere in pista, tenendo tra le mani quel volante contraddistinto dal blasone del biscione.
Sergio Marchionne, italiano medio nelle apparenze, a dispetto del suo di portafoglio, ha dato seguito ai suoi proclami. E sarà Alfa Romeo Sauber Ferrari, un nuovo progetto, di certo, ambizioso, dai contorni in divenire. L’esatto reciproco di quando nel lontano 1935 Enzo Ferrari e Luigi Bazzi progettarono e realizzarono una monoposto quadrifoglio di cavallino rampante marchiata, la 8C-35. Di qui la parentela con la Ferrari, sua figlia. Di rimando definita a suo tempo dal suo grande fondatore, ancora oggi fiera della sua storia, delle sue origini, intenzionata, dunque, a ridare lustro alla sua alcova. Finanche a suggestione dei tempi andati.