Eroi dei due mondi | Nigel Mansell
Con la prima puntata della nuova rubrica, ripercorriamo l'epopea di una delle più grandi personalità degli anni Ottanta e Novanta, capace di vincere in sequenza sia la Formula Uno che la Formula Indy
“Ci sono solo due modi per diventare il pilota più grande dell’automobilismo sportivo: o vinci otto titoli di Formula Uno, superando Michael Schumacher, oppure ti aggiudichi la Triple Crown”. Così parlava Fernando Alonso nella conferenza stampa pre-GP Bahrain 2017, chiamato a giustificare la scelta di disertare Monaco per tentare la 500 miglia di Indianapolis. L’asturiano è stato l’ultimo pilota di una lunga serie, in ordine di tempo, a incarnare il concetto secondo cui c’è vita anche oltre la Formula Uno.
Prima di lui ci hanno provato in tanti, con esiti alterni ma uno scopo unico e tangibile: non accontentarsi di raggiungere la gloria nel picco del motorsport, ma cercarla anche altrove. I percorsi sono stati vari; tutti, a modo loro, originali, irripetibili, talvolta leggendari: c’è chi ha vinto la Formula Uno e poi ha scelto di impreziosire altrove il palmarès, e c’è chi ha voluto prima costruire una carriera in qualche categoria di spicco extra-Formula Uno, per poi approdare, in un secondo momento, nella massima serie.
Li abbiamo chiamati gli ‘Eroi dei due mondi‘: sono i piloti che, oltre a vincere nella massima espressione dell’automobilismo, hanno firmato pagine indelebili anche altrove, tracciando un percorso raro nell’attualità, ma abbastanza diffuso in passato. Quando era soprattutto la Formula Indy a richiamare le attenzioni pure dei più blasonati beniamini della Formula Uno. E proprio con un eroe che ha cavalcato entrambe le sponde dell’oceano quasi trent’anni fa abbiamo scelto di inaugurare la nostra rubrica: si tratta di Nigel Mansell, iridato in Formula Uno nel 1992 su Williams-Renault e campione CART (attuale Indycar) l’anno successivo.
SOGNO INFRANTO
Il capolavoro del Leone d’Inghilterra si consuma tutto a inizio anni Novanta. È un’epoca di transizione per la Formula Uno: le monoposto del decennio precedente, tutte potenza e zero elettronica, stanno raffinandosi, smussando angoli, ammansite dalle diavolerie elettroniche che le trasformeranno in auto-computer. Proprio le macchine che finiscono nelle mani di Mansell portano i segni di questo processo. Prima la Ferrari modello ’89 (F1-89), dotata di cambio semi-automatico con comandi al volante. Poi la Williams del ’91 (FW14), con la quale ricomincia l’ascesa del pilota inglese. Già vicino, a suo tempo, a coronare quel sogno iridato scippatogli da una gomma afflosciata ad Adelaide ’86, con titolo iridato assegnato ad Alain Prost per il più beffardo degli epiloghi.
NIGEL MANSELL: WILLIAMS, ADDIO E RITORNO
Sorte simile nel 1987: la Williams spadroneggia ancora, ma tra i due galletti la spunta Nelson Piquet. Per Mansell seguono tre anni di purgatorio, con all’interno la parentesi Ferrari, culminata nell’addio a fine ’90 per manifesta impossibilità di convivenza con Prost. Ma poco male: ad attendere Nigel, per il ’91, c’è di nuovo la Williams.
Il secondo capitolo da Sir Frank è breve ma intenso. Il 1991 comincia male, ma a inizio estate la Williams comincia a sviluppare avveniristiche soluzioni alle sospensioni, delegando al pilota solo il compito di schiacciare a fondo sull’acceleratore. La seconda metà dell’anno per Nigel si trasforma così in una marcia trionfale: cinque vittorie, contro le sole tre di Senna, che fungono da trampolino di lancio per un ’92 da campione.
GIOIE E DOLORI
E infatti l’anno dopo non solo Nigel si fregia del titolo iridato, ma fissa pure il record stagionale di vittorie, 9, e di pole, ben 14 su 16 gare, con alloro iridato indossato ad agosto (!). Un’abbuffata che avrebbe come logica conseguenza il rinnovo contrattuale, magari per altre due o tre stagioni. E invece qualcosa va storto.
La Williams è l’auto migliore, ma Nigel si sente sullo stesso piano: d’altronde, è lui che l’ha portata al livello in cui è. Allora Mansell gonfia il petto, va da Frank e gli chiede il raddoppio dell’ingaggio. Williams non ci pensa su due volte e lo licenza in tronco. Nella partita si inserisce anche Alain Prost, che avvalendosi dell’appoggio della Renault allontana definitivamente l’inglese.
GRANDE ANCHE IN INDY
Per Mansell, il capitolo Formula Uno è chiuso. La Williams vuole dimostrare che il meccanismo vincente sta nell’auto, non nel pilota, e che quindi chiunque la guidi può essere campione. Nigel, dal canto suo, non può far altro che abbandonare per prendersi la rivincita altrove. Ed è qui che il britannico completa il capolavoro: in inverno chiude l’accordo con il team Newman-Haas per sbarcare in F. Indy, tentando l’impresa dall’altra parte dell’oceano. La stagione parte alla grande, con il trionfo di Surfers Paradise in Australia, e prosegue allo stesso modo. Con cinque vittorie complessive e 191 punti, Mansell è campione della serie americana.
Non è un’impresa da poco, ed è un peccato che nel racconto della carriera di Mansell questo successo passi in secondo piano. La Indy degli anni ’90 vanta infatti una fucina di campioni mica da ridere: oltre ai vecchi marpioni della categoria (Paul Tracy, Al Unser Jr., Bobby Rahal) ci sono anche illustri ex della Formula Uno: Emerson Fittipaldi e Mario Andretti su tutti. Anni più tardi, ad Autosprint, Mansell dirà: “Non mi ritengo solo il campione del mondo di Formula Uno 1992. No, c’è qualcosa di più che mi piacerebbe fosse sottolineato. Vista la qualità dei partecipanti alla serie CART 1993, che io mi aggiudicai alla mia stagione del debutto, francamente mi reputo un doppio campione del mondo. Credo sia una valutazione che nessuno mi possa contestare”.
MANCA LA 500 MIGLIA A NIGEL MANSELL
C’è un pelo nell’uovo, però, ed è la mancata vittoria alla Indy 500. Nigel la tenta due volte, entrambe fallendo l’obiettivo. L’edizione ’94, poi, gli riserva un epilogo beffardo, dal momento che chiude la corsa in ambulanza dopo uno scontro assurdo in uscita dai box con l’inesperto Vitolo. Un fatto disgraziato di una stagione altrettanto disgraziata, che Nigel Mansell chiude all’ottavo posto. Abbastanza per archiviare l’esperienza americana.
Ma la lunga epopea dell’inglese non è finita. In quel drammatico 1994, c’è infatti spazio per un’ultima parentesi in Formula Uno. A chiamare Nigel Mansell è ancora lei, la Williams orfana di Senna, che lo convoca per l’ultimo scampolo di stagione. L’ultimo urrà del Leone d’Oltremanica arriva ad Adelaide, il luogo della prima cocente delusione datata ’86. Per la verità è una vittoria platonica, poco considerata visto che l’attenzione è tutta per il patatrac Schumacher-Hill che consegna il primo e contestato titolo al tedesco. Per una leggenda che nasce, ce n’è una – quella di Nigel Mansell – appena tramontata.