
Per il varo della nuova era turbo ibrida, la denominazione F14 T fu scelta dai tifosi ferraristi di tutto il mondo, partecipando a un referendum online della durata di 10 giorni.
La federazione, per dare una svolta ecosostenibile, decide di imporre – oltre al turbocompressore – una tecnologia ibrida supportata da motori elettrici, tanto da far assumere all’unità motrice il nome di power unit. Contestualmente all’adozione della power unit, la FIA obbliga i team a ridurre il numero di motori a disposizione di ciascun pilota, passando da otto a cinque.

La tecnologia ibrida coglie impreparati diversi costruttori, ad eccezione della Mercedes, che aveva già studiato e applicato tale innovazione in diversi prototipi.
La Ferrari si concentra a lungo su come creare un mix vincente, dovendo – per regolamento – staccarsi completamente dal modello precedente, pur mantenendo l’impianto grafico. Infatti, la F14 T presenta un’ampia area nera nella parte terminale delle pance e del cofano motore, utile a celare alcune soluzioni tecniche e a risparmiare peso.
Presentata il 15 febbraio, la nuova monoposto di Maranello colpisce per la sua bruttezza; la sua lontana somiglianza con un fagocero suscita l’ilarità degli avversari, che restano comunque curiosi di vedere le prestazioni in pista.

Oltre alla nascita della nuova formula, l’altra novità è il ritorno di Kimi Räikkönen alla corte ferrarista. L’ultimo campione del mondo con la Ferrari torna a Maranello con l’intenzione di bissare il titolo del 2007 e di formare un autentico dream team con Alonso.
Dai primi test, la F14 T si dimostra carente in vari settori: il disegno delle sospensioni e del telaio non consente una resa ottimale delle gomme, comportando un deficit importante in termini di velocità massima. Alonso lotta per tenere alto il vessillo della Ferrari, combattendosi come un leone in ogni gara. Con la sua grinta, ottiene un terzo posto in Cina e una seconda piazza in Ungheria, dove sfiora la vittoria.
In questo clima di difficoltà, il team principal Domenicali decide di rassegnare le dimissioni. Il presidente Montezemolo, messo in discussione dall’AD di Fiat Marchionne, tenta la carta Mattiacci, promuovendo l’AD della Ferrari americana a team principal della squadra corse.

Mattiacci accetta con entusiasmo il nuovo incarico e, aiutato dal presidente, si impegna al massimo nonostante la sua inesperienza nel mondo delle corse. Disorientata dagli insuccessi e confusa sul da farsi, la Ferrari appare come una nave alla deriva: Marchionne prende il sopravvento e, dopo una stucchevole polemica con Montezemolo, lo accompagna fuori dalla scuderia senza troppi complimenti.

Con Marchionne al comando, tutto cambia: a un sconcertato Alonso viene offerta la possibilità di andarsene, poiché lo spagnolo non è mai stato abile nell’interpretare i momenti chiave della sua carriera, scegliendo spesso tempi sbagliati per trasferirsi. Successivamente, a Mattiacci – dopo 7 mesi di servizio – viene preferito Arrivabene, uomo di Philip Morris da anni legato al cavallino.
Con qualche sorriso e tante recriminazioni, il ciclo di Alonso si conclude, e il 20 novembre a Maranello inizia l’era di Vettel. Sarà vera gloria…