Fangio, Piquet, Alonso: tre campioni e un ovale Indy… gesto
La storia delle tre superstar sedotte dal fascino di Indy, che però non ha fatto loro alcuno sconto. Anzi...
Tre storie paradigmatiche per tre epoche diversissime. Juan Manuel Fangio, Nelson Piquet e Fernando Alonso. Tre campionissimi della Formula Uno, tutti sedotti dal fascino del tempio della velocità, l’Indianapolis Motor Speedway. E un amaro comune denominatore. Ossia l’aver lasciato Indy con le pive nel sacco. Perché il motorsport americano, agli antipodi, per concezione, rispetto a quello europeo, sa essere assai crudele con chi parte dall’altro lato dell’oceano per cimentarsi nella sua conquista. E allora eccole qui le tre storie finite male, che vi proponiamo nel bel mezzo della nostra rubrica ‘Eroi dei due mondi‘, che racconta di chi invece la Indy 500 l’ha fatta sua, oltre alla Formula Uno. Ma Indy non avrebbe il suo fascino se non ci fossero stati anche coloro che, vinta la massima serie, hanno poi subìto la spietatezza della corsa più temeraria del pianeta.
FANGIO E QUEL TENTATIVO ANDATO A VUOTO
La prima superstar a provarci è il recordman della Formula Uno del ventesimo secolo, Juan Manuel Fangio. Eppure, il suo rimarrà un buco nell’acqua. Per un mix di ragioni. Numero uno, l’età. È il 1958 quando l’argentino si avventura nel catino di Indianapolis, a 47 primavere suonate e un palmarès in Formula Uno bello che fatto. Con cinque titoli – record imbattuto fino al 2003 – e una percentuale di vittorie spaventosa: 47,06%. Che è molto più evocativo del numero di vittorie in sé – 24 -, ridimensionato ahinoi da certi numeri da overdose della Formula Uno odierna.
Ebbene, il tentativo di Fangio a Indy affonda le sue radici su un fatto dell’anno prima, giugno 1957. Era il periodo della ‘Race of Two Worlds’, la ‘Corsa dei due mondi’, che richiamava sulla vecchia sopraelevata di Monza le superstar di Indy e quelle della Formula Uno. Peccato che, mentre il plotone americano si presenta al gran completo, il fronte rivale manca della sua punta di diamante, Juan Manuel Fangio. Che preferisce disertare la corsa per prepararsi al GP di Francia, tappa successiva del mondiale.
Una delle più grandi personalità del motorsport americano, Floyd Clymer, è disgustato dall’atteggiamento dell’argentino, bollato come “falso campione” per aver dribblato la sfida con gli statunitensi. Prospettandogli dei premi in denaro, l’anno dopo Clymer convince Fangio a partecipare alla 500 miglia. L’argentino ci arriva accompagnato da una eco mediatica senza eguali, ma si capisce subito che sarà un tiro a vuoto. Perché a Fangio manca il mezzo giusto.
Inizialmente, l’argentino tenta la qualifica su una Kurtis-Offenhauser a quattro cilindri, passando il rookie test a 142.9 miglia orarie. Media discreta, ma poca roba per ambire al successo. Quando è chiaro che il potenziale della vettura è plafonato, a Fangio viene offerta una macchina di un altro team, per vedere di far meglio. Ci riprova allora con un’auto di Lew Welch dotata di motore V8. Ma la media migliore – 135 miglia – è persino peggio di quella registrata con la Offenhauser 4 cilindri. Con le possibilità di assicurarsi un’auto competitiva che vanno scemando e la Indy 500 sempre più vicina, l’argentino dà forfait ancor prima di iniziare la corsa.
IL DRAMMA DI PIQUET A INDY
Facciamo un salto di trentacinque anni per calarci nel motorsport dei primi Nineties. La Indy diventa meta prediletta dei campioni di Formula Uno: Fittipaldi, Andretti e Mansell su tutti. Persino Senna flirta con la serie americana, che assaggia a fine ’92. Nell’ossessione collettiva per l’America si inserisce anche il disgraziato tentativo del pilota carioca. A fine ’91, Nelson ha chiuso con la Formula Uno, dopo un fine stagione nell’ombra di Michael Schumacher, nuovo idolo Benetton.
Così, il brasiliano cambia aria e chiude l’accordo con il team Menards. Obiettivo: la Indy 500 del ’92. Per lui c’è una Lola motorizzata Buick, ma il destino lo attende dietro l’angolo. Forse per un detrito finito in traiettoria, nei test pre-qualifiche Piquet perde il controllo della vettura, spiaccicandosi sul muro di cemento. L’impatto è violentissimo e disintegra le gambe del pilota brasiliano. Piquet viene trasferito in ospedale dove lo sottopongono a interventi multipli e delicati, facendo temere danni permanenti. Poi fortunatamente scongiurati. Ma che paura.
POCA FORTUNA ANCHE PER ALONSO
Non c’è la drammaticità del caso di Piquet – e per fortuna… – nella storia di Alonso, l’ultima che abbiamo selezionato, nonché la più recente. Dei tre, l’asturiano è quello che ha avuto in canna più tentativi per sbancare Indianapolis, successo che gli avrebbe permesso di conquistare l’agognata Triple Crown. Inseguita ossessivamente dopo il primo ritiro dalla Formula Uno nel 2018.
E invece Alonso ha ingoiato bocconi amari. L’occasione più grossa arriva nel 2017, perché a disposizione c’è una monoposto del team Andretti spinta dalla Honda. Ma proprio il motore tradirà Fernando a 21 giri dal termine, mentre viaggiava nel gruppetto di testa. Gli altri due tentativi – nel 2019 e 2020 – sono buchi nell’acqua. In entrambi, Fernando deve accontentarsi del motore Chevrolet, dato il voltafaccia dei nipponici, e di un team McLaren alle prime armi. Che è un po’ come affrontare Golia nei panni di Davide.
Tuttavia, è bello e un po’ romantico pensare che Fernando, unica superstar contemporanea a battersi dovunque, un’altra chance ce l’avrà. Perché con Indy, il suo conto è ancora aperto.