Il nome Ferrari è stato spesso legato a vittorie sensazionali ma anche a sconfitte e crisi tecniche cicliche che, invece di minare il marchio e macchiarne la reputazione, l’hanno sempre rafforzata fino a renderla quasi imbattibile.
Spesso, nella scuderia, le crisi nascevano da prese di posizioni di Ferrari, tipo quella di insistere col motore anteriore quando la concorrenza lo aveva posto dietro, oppure quando pose il veto all’introduzione delle minigonne lasciando di fatto alle Lotus il campionato 1978, oppure da dissidi coi tecnici che, allettati da lauti stipendi, lasciavano la scuderia per approdare ad altri lidi.
Ricordiamo Aurelio Lampredi, padre del 12 cilindri che portò al successo la Ferrari a Silverstone il 14 luglio 1951, eclettico ingegnere, che riuscì ad adattare alle macchine di produzione il motore da corsa dando lustro alla produzione Ferrari. Lampredi viene ricordato più che per le vittorie, numerose, per la cocciutaggine a perseguire il progetto del motore a due cilindri che, alla prima prova al banco esplose lasciando senza parole Enzo Ferrari e senza lavoro il pur bravo ingegnere.
Fino al 1961 la Ferrari ha potuto contare su una stabilità tecnica che gli ha permesso di guadagnare cinque titoli mondiali ma soprattutto si deve al corpulento ingegner Chiti la progettazione della 156 del 1961, prima Ferrari a motore posteriore che conquistò il titolo con Phil Hill proprio nel giorno in cui il compagno di colori Von Trips, nobile Junker tedesco, rimase ucciso in un incidente innescato da Clark.
La conquista del titolo non portò la tanto sospirata gloria a Maranello infatti i dirigenti della squadra corse, con Chiti in testa, scrissero una lettera formale al presidente della SEFAC Ferrari, ing Enzo Ferrari, chiedendogli di poter impedire alla moglie Laura, donna con un sistema nervoso provato dalla morte del figlio avvenuta qualche anno prima, di entrare nei box e lasciarsi andare a sfoghi e urla.
L’ing Ferrari decapitò il vertice della squadra corse licenziando tutti in tronco, non già per le dimostranze valide, ma perché il Drake vedeva l’azienda come un succedaneo della famiglia: si sarebbe quindi aspettato dai suoi collaboratori un dialogo aperto e franco non un gioco a nascondersi dietro una lettera raccomandata.
Il licenziamento costò alla Ferrari molto, l’ingegnere, sospinto dalla scintilla del genio, decise di puntare tutto su un giovane laureato figlio di un operaio della linea di montaggio: Mauro Forghieri. gli inizi furono senza dubbio duri; il giovane direttore tecnico dovette scontrarsi con la mentalità narcisista e conservatrice dei piloti e ,a volte, del suo presidente che, nonostante le discussioni anche animate, mai lo sminuì difronte alle proteste di piloti del calibro di ickx, e Lauda, A modo suo Ferrari aveva l’indubbia capacità di dar valore alla posizione di comando dei suoi dirigenti.
Anche Forghieri, nonostante le numerose vittorie, il giovane direttore tecnico sovraintendeva anche i lavori e la progettazione delle vetture sport con le quali la Ferrari riuscì a imporsi nelle americhe dove il culmine del successo fu rappresentato dall’arrivo in parata alla 24 di Daytona del 1967, venne epurato nel 1973 quando la Fiat, forse memore del suo passato, gli inglesi la chiamavano First In All Trials, decise di esautorare il geniale progettista per rimpiazzarlo per la stagione 1973 con Gioacchino Colombo. Colombo, sposando un’idea radicata anche ora, decise di far progettare e costruire il telaio della macchina in Inghilterra. L’assenza di Ferrari, gravemente malato, non giovò all’ambiente che lacerato da divisioni e dai risultati latitanti rischiò di esplodere in faide interne fermate solo dal ritorno al timone del Vecchio che con un colpo di coda richiamò Forghieri e riorganizzò il reparto corse gettando le basi per un periodo di vittorie continue durato fino al 1980.
I gloriosi tempi dell’ingegner Forghieri terminano, un Ferrari invecchiato e forse già malato, poco potè nei confronti dell’idea diffusa che le sconfitte del 1984 erano da attribuire alla scarsa reattività del telaio progettato dal suo direttore tecnico; così dovette subire sia le dimissioni di Forghieri dal reparto corse e la creazione di una “cooperativa di tecnici” che galvanizzati degli iniziali successi riuscirono ad accusarsi gli uni con gli altri per le inevitabili sconfitte che un progetto mal sviluppato portò nel corso dell’anno 1985.
Neppure Postlethwaite si salvò, lui fu il padre del telaio composito che rese quasi imbattibili la 126 c2 e la c3, venne accantonato e licenziato senza tanti problemi facendolo accasare alla Tyrrel dove progettò la macchina a muso rialzato che ispirò quasi tutte le formula uno degli anni 90. Il simpatico tecnico inglese perito un attacco cardiaco ha sicuramente raccolto molto meno di quanto le sue capacità meritassero.
La troppa politica all’interno della squadra corse tenne lontano Barnard che arrivò a farsi costruire una fabbrica “sotto casa” piuttosto che rimanere risucchiato nel vortice delle polemiche che una squadra perdente inevitabilmente produceva. Non fu licenziato, se ne andò, con ampia soddisfazione per ambo le parti per ritornare negli anni di Montezemolo con l’intento di creare una Ferrari imbattibile che fruttò all’inglese un conto corrente a tanti zeri e alla Ferrari tanti zeri nel casellino delle vittorie mondiali: il divorzio annunciato avvenne per mano di Todt nuovo team principal che con un controllo assiduo e dei collaboratori ben amalgamati intorno al pilota di punta, Schumacher, riportò la Ferrari ai vertici creando un nuovo stile Ferrari.
Con la presentazione della SF-24 la Ferrari rinnova l’eterna promessa coi propri tifosi di tornare alla vittoria, ma continua il solito braccio di ferro coi propri progettisti spesso responsabili di tante sconfitte ma mai premiati per le molte vittorie…