L’ultima persona a provare a strappare dalla morte Ayrton Senna in quel maledetto 1° maggio 1994 a Imola fu Maria Teresa Fiandri, primario del reparto di Rianimazione e del 118 dell’Ospedale Maggiore di Bologna e fu proprio lei ad annunciare alla stampa che il brasiliano non ce l’aveva fatta.
Riportiamo l’intervista fatta dal giornalista Tommaso Lorenzini per conto di Libero
Dottoressa, dove era alle 14.17 di quella domenica?
«A casa, stavo guardando il Gp in tv con i miei figli, appassionati di F1. Non ero di guardia ma ero reperibile. Ho capito subito che l’incidente era molto grave, mi sono cambiata e sono saltata in macchina. Non ho neppure aspettato che mi chiamassero, il bip del cercapersone è suonato quando ero già per strada. Sono arrivata al Maggiore contemporaneamente all’elicottero».
Ventotto minuti dopo l’incidente. E lì prese in consegna Ayrton.
«Era in coma molto profondo, ma aveva battito cardiaco e prima di esaminare la Tac non si poteva sapere quante speranze reali ci fossero. Che era molto grave lo avevamo capito subito, il quadro era già apparso chiaro al dottor Gordini e ai medici che lo avevano soccorso al circuito».
Quel movimento della testa che per la gente a casa era un segno di speranza…
«Purtroppo era un segnale di estrema gravità. Quando poi abbiamo visto la Tac abbiamo capito che le lesioni erano enormi e inoperabili. Il cervello era così danneggiato… ».
A seguito delle indagini e del controverso processo, è stato appurato che nello schianto contro il muretto la sospensione destra della Williams si staccò, portando con sé la gomma che colpì Senna alla testa, mentre il braccetto penetrò nella visiera e trafisse il brasiliano nella regione del lobo frontale destro.
«Non so se sia stato il colpo diretto o il contraccolpo a causare più danni. Il braccetto aveva causato un taglio profondo, era la cosa che si notava subito; poi abbiamo visto le fratture craniche e da lì abbiamo deciso di fare l’elettroencefalogramma per capire se ci fosse o meno attività cerebrale».
Ma tutto quel sangue che si vede dalle immagini tv?
«Era causato dal taglio, era stata lesa l’arteria temporale. La grande quantità di sangue fu una cosa che colpì anche noi».
La telemetria ha dimostrato che nei due secondi fra la rottura del piantone dello sterzo e lo schianto Senna reagì, frenò e scalò le marce, passando da circa 310 km/h a 211. Se non ci fossero stati l’impatto con la gomma e il braccetto come sarebbe andata?
«Il resto del corpo era integro, non c’erano altre lesioni importanti, Ayrton ha avuto un’incredibile sfortuna. Bastava un palmo più a destra: non posso dire che non sarebbe successo nulla, ma certamente altri danni significativi sul corpo non ce n’erano».
Com’era Senna quando è arrivato al Maggiore?
«Era bello e sereno, mi ha fatto quell’impressione lì. Ovviamente il viso era un po’ gonfio per il trauma ma ricordo che c’era una persona accanto a me che anche lei esclamò: “Quanto è bello…”».
C’era qualcosa nel destino di Ayrton…
«Forse sì, anche le cose su di lui che ho letto dopo quel giorno mi hanno dato questa impressione: un destino alla fine infelice, come se lui nel profondo avesse sempre saputo che sarebbe morto giovane».
Nei due giorni precedenti ci furono altri drammi.
«Ma non ero di turno. È stato un weekend terribile, fra spettatori, meccanici, una serie di eventi da lasciare senza parole».
Come fa un medico nella sua posizione a contenere le emozioni?
«Ci vuole gran capacità di autocontrollo altrimenti è meglio non fare il medico. E poi aiuta l’esperienza, eravamo un’équipe molto organizzatae in quelle situazioni non si era mai soli».
Avevate percezione di vivere un momento storico?
«Sì, lì per lì almeno io ero un po’ sconfortata, anche un po’ spaventata, ma poi l’esperienza viene in soccorso».
Dopo gli inutili trattamenti che avete provato, è arrivato il momento dell’annuncio.
«Sì, ma non avevamo nessuna tabella di marcia per le comunicazioni ai media, come qualcuno ha riportato, così come non è vero che a Senna praticammo 18 trasfusioni. Io credo di aver dato notizie due o tre volte, una di sicuro quando abbiamo visto l’elettroencefalogramma che non dimostrava attività, cosa che oggi consentirebbe di dichiarare la morte, ma allora non potevamo farlo perché per la legge italiana la morte coincideva con l’arresto cardiaco: e finché non si è fermato il cuore, noi non potevamo constatare il decesso».
Da medico si è dovuta trasformare in personaggio mediatico.
«Mi sono esposta il meno possibile, perché non è proprio il mio temperamento».
Com’è annunciare la morte di qualcuno?
«Brutto, per quanto si cerchi di prepare i parenti e condividere il momento – con un minimo di filtro, altrimenti nessuno riuscirebbe a fare il nostro lavoro. Quelle volte in cui riusciamo a dare buone notizie però ci ripagano».
Cosa sente oggi quando vede Senna in tv o sui giornali?
«Una sensazione strana, affetto, come se ci fosse un legame. Però non vado mai a riguardare sue foto, perché il ricordo di quel giorno mi crea ancora molta emozione».