I circuiti abbandonati da poco e i Tilkodromi falliti

Tra i circuiti abbandonati da pochi anni i teatri di sfide indimenticabili
Le recenti espansioni della Formula 1 verso i paesi dell’Asia e del Medio Oriente non hanno impedito che finissero abbandonati alcuni circuiti molto interessanti. Forse non per il livello tecnico, ma sicuramente per la memoria dei pochi Gran Premi che hanno ospitato. Ce ne sono in particolare tre a cui sono bastate sporadiche apparizioni per essere ricordate negli annali.
Sul tracciato del Fuji, oggi di proprietà della Toyota, la massima formula ha fatto tappa quattro volte. Le ultime tre si è fatto in tempo a dimenticarle abbastanza velocemente, ma il Gran Premio del ’76 fu di quelli che segnano un’epoca. Il titolo ancora in gioco, la pioggia battente, la partenza ritardata. E poi il gran rifiuto di Lauda e Hunt che vince il mondiale senza nemmeno saperlo. Fin troppe emozioni per un autodromo che alla Formula 1 non ha poi regalato altri eventi di rilievo.

I NOMI DI AIDA E DONINGTON LEGATI AL RICORDO DI AYRTON SENNA
Un po’ come Aida, pista sperduta nelle montagne di Okayama (ancora Giappone), mai troppo amata per la difficoltà nei sorpassi e le dimensioni quasi kartistiche. Eppure è qui che Michael Schumacher festeggiò nel 1995 il suo secondo titolo con la Benetton. E sempre qui l’anno precedente Senna fece per l’ultima volta ritorno ai box sulle sue gambe, pur ritirato al primo giro, prima del disgraziato primo Maggio imolese.

Sempre al campionissimo brasiliano sarà per sempre legato il ricordo dell’unico Gran Premio corso a Donington, su un circuito delizioso ma anch’esso troppo piccolo per le Formula 1. Eppure una domenica del 1993 Ayrton regalò agli infreddoliti spettatori britannici una prestazione epocale. Se a Donington avessero deciso di non correrci più per non intaccare quel ricordo, insomma, non si potrebbe che concordare.
LE VITTIME DEL NUOVO CORSO, ALCUNE RIMPIANTE ALTRE DIMENTICATE
Me tantissimi sono i circuiti abbandonati negli ultimi decenni che avevano tutte le carte in regola per rimanerci, nel calendario, non avessero presentato lay-out poco “commerciabili” oppure avuto alle spalle governi in difficoltà. Che dire delle mille configurazioni di Buenos Aires, alcune davvero interessanti, e della passione del pubblico argentino? Oppure di quel piccolo gioiello che era il circuito cittadino di Adelaide che tra muretti e spartitraffici presentava difficoltà insidiose anche per gente come Mansell, Piquet o Prost?
Che se ne sente la mancanza, sicuramente, ecco cosa si può dire. Più che di Jerez o Magny Cours, per esempio. Circuiti, questi due, che hanno goduto di una presenza abbastanza stabile in calendario pur essendo caratterizzati da disegni piuttosto noiosi e privi di ritmo.
IL CASO DI HOCKENHEIM E L’ “EFFETTO TILKE”
Ma tra i circuiti abbandonati negli ultimi tempi la palma del più rimpianto spetta probabilmente ad Hockenheim. E’ vero che nell’impianto vicino a Mannheim ci si corre ancora, ma la vecchia pista era veramente tutta un’altra cosa. Cinque chilometri a tavoletta, con la macchina scarica e il rombo del motore a riecheggiare tra gli alberi e poi la sfida di tenerla in strada, quella macchina senza grip, sulle curve lente del Motodrom davanti a centinaia di migliaia di tifosi. Fantastico.

Onestamente, dopo la ristrutturazione operata dall’architetto Hermann Tilke, Hockenheim ha perso tutto il suo fascino. E si apre così il discorso sui lavori del progettista tedesco, che la federazione ha scelto per disegnare circuiti in ogni parte del mondo con esiti che hanno accontentato pochissimi. Diremmo nessuno, tra gli appassionati più attempati.
I PROGETTI DI TILKE TRA REVISIONI E FALLIMENTI
Detto del mezzo disastro di Hockenheim sono comunque altri due gli esempi di cui il buon Tilke non può certo andare fiero. Due circuiti che a prescindere dalla loro riuscita sono finiti abbandonati dopo pochissime stagioni, ovvero Greater Noida (India) e Yeongam (Corea), Vittime, entrambi, della frenesia di portare la Formula 1 su nuovi mercati senza assicurarsi della serietà di certi investitori.
Del primo non si può parlare malissimo, tranne per il nome (intitolare un circuito a Buddah pare più che pretenzioso) e per l’espediente di allargare la carreggiata all’ingresso di certe curve. Si dovevano favorire i sorpassi, si è finito per rovinare completamente il profilo di curve che potevano anche essere interessanti. Comunque grandi danni, in sole tre apparizioni, Il Buddh International Circuit di Greater Noida non ne ha fatti.

Appena un’apparizione in più è riuscito a strapparla il circuito coreano, situato in una specie di acquitrino lontano da tutto e tutti. Doveva essere un’entusiasmante combinazione tra settori veloci e curve da tracciato cittadino circondato da costruzioni avveniristiche. Fatto sta che i grattacieli intorno all’ultimo settore di Yeongam non sono mai stati costruiti e questo sfortunato emblema dell’ambizione umana è stato abbandonato dopo pochi anni.
Un destino che molti si augurano anche per altri circuiti usciti dalla stessa penna, ma per verificare questa profezia dovremo aggiornarci di qualche stagione.