I grandi flop | Villeneuve-BAR
In cinque anni, l'accoppiata raggranellò appena due podi a fronte di enormi investimenti
“È una grande sfida, abbiamo costruito tutto da zero e da qui possiamo lavorare senza condizionamenti esterni”. Chissà se mentre pronunciava queste parole, il 6 gennaio 1999 alla presentazione del team a Brackley, Jacques Villeneuve poteva immaginare che quell’esperienza avrebbe fruttato la miseria di due podi in cinque campionati. Eppure, l’attrazione verso la nuova avventura targata BAR (acronimo che sta per British American Racing), doveva essere davvero forte se, per sua stessa ammissione, Villeneuve arrivò pure a rinunciare alle sirene della McLaren, che lo aveva contattato per bocca di Adrian Newey proprio in vista della stagione ’99.
Prima dell’esperienza in BAR, Villeneuve aveva vinto tutto ciò che c’era in palio tra America ed Europa. Campione in Champ Car nel ’95, con la vittoria a Indianapolis come fiore all’occhiello, a Jacques ci volle poco anche per prendere le misure con la Formula 1, dove insidiò il capo-squadra Damon Hill già nella stagione d’esordio, per poi laurearsi campione l’anno successivo, nel ’97, piegando la resistenza del binomio Schumacher-Ferrari. Fu proprio dopo il titolo di quell’anno, arpionato nel contestato finale di Jerez, che la carriera di Villeneuve cambiò decisamene registro.
IN CERCA DI RISCATTO
Reduce da un ’98 deludente con una Williams ormai orfana di Newey, il canadese decise di cambiare aria in vista dell’ultima stagione del vecchio millennio, imbarcandosi nell’avventura targata BAR. Finanziata dalla multinazionale BAT (British American Tobacco) e dal manager di Jacques, Craig Pollock, con lo stesso Villeneuve in qualità di azionista, la BAR nacque quasi da zero rilevando strutture della ormai defunta Tyrrell. Facile intravedere anche in questo progetto evidenti motivazioni di marketing: attraverso il ‘palcoscenico’ della Formula 1, la BAT ambiva a garantire massima visibilità ai suoi prodotti di punta, Lucky Strike e 555.
Il ruolo della pubblicità ai due marchi sopracitati emerse sin dalla presentazione della neonata squadra, che in quel gennaio 1999 presentò addirittura due livree distinte per la sua BAR-001: una, per Villeneuve, dotata della colorazione Lucky Strike, l’altra tutta blu (in stile Subaru Impreza) per il compagno Ricardo Zonta, che avrebbe dovuto sponsorizzare il marchio 555. Ovviamente, con l’intervento della FIA, la colorazione della nuova BAR fu poi uniformata per entrambe le monoposto, con il curioso compromesso di ‘spezzare’ in due la livrea: da un lato della macchina la colorazione Lucky Strike, dall’altro quella della 555, unite da una finta zip (come oggi, era infatti vietato per regolamento differenziare le livree di due vetture dello stesso team).
TANTI SOLDI, POCHE GIOIE
Colorazione a parte, per il primo anno di corse la BAR fu dotata di un 10 cilindri Supertec (che in realtà era un propulsore Renault ribrandizzato) e di un telaio disegnato dall’équipe con a capo Adrian Reynard. Ma nonostante gli ingenti investimenti e la presenza di un campione del mondo, i risultati mancarono da subito. Complice anche la scarsa esperienza della formazione anglo-americana, il ’99 registrò un bollettino impietoso: zero punti e ultimo posto nel Campionato Costruttori dietro alle Minardi-Ford. Unica soddisfazione platonica, quei primi chilometri da leone di Villeneuve nel GP di Spagna, dove bruciò allo start le Ferrari di Schumacher e Irvine.
Nel 2000 la scuderia si produsse in un miglioramento inaspettato, grazie anche all’arrivo dei motori Honda. La BAR archiviò la stagione addirittura al quinto posto finale con 20 punti, di cui 17 sommati dal solo Villeneuve, che dal 21° posto nella graduatoria finale del ’99 balzò al 7°. Lo stesso canadese chiuse ai piedi del podio in ben quattro occasioni.
L’anno successivo, Jacques peggiorò il punteggio finale, cogliendo 12 punti contro i 17 dell’annata precedente, ma ottenne due podi che rimarranno per sempre i suoi migliori risultati nell’avventura con la BAR. Il primo podio giunse a Barcellona e fu propiziato dal ritiro all’ultimo giro di Mika Hakkinen, mentre il secondo arrivò in un convulso GP di Germania all’Hockenheimring. Complici le altre prestazioni incolori, Villeneuve non smosse però il suo risultato di campionato – 7° – che rimase lo stesso del 2000.
I TITOLI DI CODA
Il biennio 2000-2001 rimase l’apice per l’accoppiata BAR-Villeneuve, che dal 2002 imboccò i titoli di coda. Quell’anno il canadese chiuse con soli 4 punti, mentre nel 2003 ne totalizzò appena due in più, nonostante un sistema di punteggio più favorevole che assegnava punti ai primi 8 invece che ai primi 6 di ogni GP. C’era ovviamente un motivo dietro a quell’incredibile involuzione, e fu legato all’allontanamento dal progetto del manager di Villeneuve, Craig Pollock, sostituito da David Richards, con il quale il canadese entrò subito in rotta di collisione.
La direzione presa da Richards mal si conciliava con gli interessi di Villeneuve – cui fu proposto addirittura un sedile in F. Indy pur di non riconoscergli il faraonico stipendio di 18 milioni annui che il canadese percepiva alla BAR – e, con l’arrivo di Jenson Button, nuovo pupillo di Richards, ci volle poco perché Villeneuve imboccasse la via d’uscita, non disputando nemmeno l’ultimo GP del 2003. Non va comunque negato che proprio in seguito all’uscita di scena di Villeneuve, la BAR-Honda visse il suo anno migliore, nel 2004, che terminò al secondo posto nel campionato Costruttori. Fu l’unico vero ruggito del team anglo-americano (che nel 2006 sarebbe stato acquisito in toto dalla Honda), gioia che però giunse senza i suoi fondatori, Villeneuve e Pollock, ormai allontanati dal progetto.
La storia di Villeneuve e della BAR entra di diritto nei grandi flop di questo sport. Annunciato in pompa magna, il progetto che doveva portare un campione già affermato a vincere con una scuderia che aveva contribuito a creare lui stesso, si chiuse anzitempo tra delusioni e malumori. Un po’ come era accaduto, tanti anni prima, con la brasiliana Copersucar di Emerson Fittipaldi.