
In Scozia si racconta che ogni tardo pomeriggio appare una nuvola che sembra essere una macchina da corsa. Si racconta anche che quella strana nuvola è l’anima di Jim Clark, uno dei più grandi piloti che la F1 ci abbia mai consegnato.
Tutto inizio quando sulle piste quando arrivò un uomo magro che in macchina sembrava volare. Fuori dall’abitacolo era in difficolta’ a scegliere un ristorante quanto era indeciso, ma una volta calato al volante sembrava un “predestinato”.
Non si sentiva tale, anzi alla prima vittoria fu il primo ad esserne sorpreso, alla seconda quasi si vergognava quando sentì esaltare le sue doti, dalla terza in poi divenne un re senza far pesare il suo potere.
Clark continuava a vincere e viveva il momento con la consapevolezza dei semplici nonostante la stampa esaltasse le sue imprese fino a farlo sentire il “Dio delle automobili“.
La svolta della sua vita l’ebbe quando incontrò Chapman, il titolare e genio della Lotus. Si incontrarono in un ristorante e il manager spostò piatti e bicchieri per abbozzare un capolavoro chiamato Lotus 25.
Il geniale costruttore fece coricare Clark sul tavolo e cominciò a mettergli intorno roba : serbatoi ruote e sospensioni.
La Lotus 25 nacque così, di fatto una macchina che rompeva gli schemi ma che si basava essenzialmente su un uomo in grado di guidarla a 250 kmh. Chapman pretese che lo scozzese corresse con la testa spostata verso sinistra per offrire meno resistenza all’aria.

Con la 25 Clark dominò la F1. Con i suoi giri record sembrava andare oltre la velocità della macchina, a Silverstone percorse le curve lente in folle per preservare il motore assetato d’olio, a Monza venne portato in trionfo da una folla in delirio che lo vide, nonostante fosse doppiato, riuscire a rimontare fino a riportarsi in testa per mollare all’ultimo giro per mancanza di benzina. A Indy riuscì a trionfare, chi lo osservava dall’esterno lo vedeva scivolare nei curvoni tenendo la macchina ben salda a terra senza alzare il piede nonostante i 300 kmh.

Poi venne il ’68, un anno che doveva consegnarli il terzo titolo, ma che sembrava essere nato sotto una cattiva stella. Il 7 aprile decise di partecipare a una corsa di F2 con una Lotus. Quel giorno partecipò senza incidere, il circuito di Hockenheim non gli era mai piaciuto. Il miglior pilota del mondo si stava accontentando del sesto posto quando imboccò il lungo rettilineo. I testimoni raccontarono di aver visto la macchina sbandare andando a distruggersi in mezzo agli alberi.
Clark morì sul colpo, Chapman capì di aver perso un figlio, alle 16,50, proprio l’ora in cui la nuvola appare in Scozia.
Da quel giorno la F1 non è più la stessa, la morte dello scozzese lascia un vuoto mai colmato, forse da Senna chi lo sa, il suo eredi Stewart corse pensando a lui portando la F1 a un livello di sicurezza mai visto per quei tempi.
C’è un timido filo che lega quella Formula Uno a quella di oggi, un timido filo di Scozia.