L’evoluzione del casco: una cronistoria

In un’epoca nella quale diamo tutto per scontato, il ruolo del casco è ancora determinante, in termini di sicurezza, durante le sorti di qualsivoglia Gran Premio. Ancora di più lo è stato agli albori di questo sport.
Gli inizi: poca protezione
In principio fu una cuffia. Una semplice cuffia, allacciata al mento, di cotone o di lino: erano le prime competizioni e i cosiddetti ‘Cavalieri del rischio’ di primo Novecento si cimentavano alla guida di auto di serie in polverose strade europee, concepite ancora per le carrozze. Erano utili al massimo a riparare dalla polvere e dall’aria, nulla più.
Dal tessuto si passò quindi alla tela, un filo più resistente, e cuciti in modo da avere un sottogola che ne fermasse i lacci. Erano fatti più che per proteggere da eventuali urti, per evitare il fastidio che il vento e la pioggia potevano dare durante le competizioni. L’altro accessorio che completava l’abbigliamento del pilota erano gli occhialoni di protezione, di derivazione aeronautica.
Scodelle e calotte

Si arrivò quindi al duro cuoio, finalmente: e in alcuni casi poteva essere imbottito all’interno della calotta. Tazio Nuvolari fu uno dei primi ad utilizzarlo, mentre altri piloti mantenevano ancora quello in tela. L’evoluzione si fermò fino al dopoguerra, ma è alla metà degli anni ‘50 che il caschetto a scodella diventa il modello più popolare e usato dai piloti dell’epoca, soprattutto nella neonata Formula 1.
Hanno la calotta in materiale più rigido, spesso sono rivestiti di pelle, e sono muniti di cinghie laterali, tipiche dei caschi da aviazione, insieme ad un rivestimento liscio collegato alle cinghie di aggancio tramite una fibbia.
Dalla semplice calotta a scodella, che copre solo la parte superiore del cranio, si passa al modello Cromwell, che alla calotta univa i paraorecchi in pelle e una visiera in plexiglass, che permette di abbandonare gli occhialoni da aviatore, mentre i fianchi vengono allungati sempre di più con del materiale rigido. Jack Brabham fu il primo pilota a vincere il titolo indossando questa nuova tipologia di casco protettivo.
I primi modelli regolamentati
Alla vigilia degli anni ’60, si assiste ad un’evoluzione più profonda del casco: nasce il modello Jet, sempre di derivazione aeronautica, che con l’avvento dei caccia supersonici aveva modificato profondamente l’abbigliamento dei piloti.
Questa evoluzione è divenuta rapida e costante anche perché nel 1963 la FIA rendeva obbligatorio l’adozione del casco di protezione, mentre prima la decisione era demandata ai singoli paesi organizzatori di Gran Premi.
Contemporaneamente evolvono anche i materiali: dalle fibre vegetali, che avevano il grosso handicap di essere infiammabili, si passa alla fibra di vetro, con interno in polistirolo espanso. I primi Jet spesso non avevano visiera, e venivano quindi abbinati a cuffie ignifughe per proteggere la parte esposta del viso.
Nello stesso decennio gli occhiali protettivi subiscono profonde variazioni e diventano a mascherina, come quelli utilizzati dagli odierni campioni di sci, con del materiale isolante applicato sui bordi per non far passare l’aria all’interno.
Finalmente integrale
Nel 1968 si assiste all’introduzione di un’evoluzione fondamentale: ovvero quella legata al casco integrale. Il primo prototipo, realizzato dall’americana Bell, fa il suo debutto ufficiale nel Gran Premio d’Italia a Monza ed è portato a battesimo da Dan Gurney. Il primo esemplare di casco integrale non ha la visiera mobile, ma fissa, e quest’ultima è assicurata alla struttura mediante delle clip a pressione.
La diffusione fu rapida, anche se qualcuno continuò a usare il Jet. La Star Helmet, questo è il nome, diventa così per un decennio il simbolo della moderna Formula 1. Tutti i piloti lo indossano, da Stewart a Rindt (che lo sopporta a fatica per via della minor campo visivo offerto rispetto alla versione ‘Jet’), da Amon a Ickx, E cominciano a vedersi anche le prime vere personalizzazioni a colori da parte dei piloti.
I materiali delle calotte e delle visiere sono passati dalle semplici fibre di plastica a costosi compositi con i quali vengono costruiti gli attuali caschi del 21° secolo, quali il kevlar e la fibra di carbonio.
Materiali innovativi
A livello di sicurezza, gli sforzi si concentrano sulle allacciature, soprattutto dopo l’incidente di Lauda al Nurburgring, in cui l’austriaco perse il casco per lo sfilamento delle cinghie. E sulla visiera, con lo studio di sistemi di aerazione interna per impedirne l’appannamento.
Quanto al design, cambia leggermente negli anni ‘80 con la diffusione del modello Brandt, ispirato ai caschi di Guerre Stellari, con visiera ridotta e mentoniera allargata. Mentre l’ultima significativa innovazione è durante il terzo millennio, con l’innesto dell’HANS, il sistema di protezione di testa e collo. Si arriva così ai giorni nostri, ai caschi con decorazioni sempre più elaborate e personalizzate, che cambiano quasi ad ogni Gran Premio.
Nel corso della sua storia, il casco è stato continuamente migliorato, tanto da diventare oggi un oggetto oltremodo raffinato ed avanzato: non solo per quanto riguarda i componenti applicati, quanto per la tecnologia impiegata per il loro studio in laboratorio e la loro realizzazione. Per questo si chiama evoluzione.