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La Formula Uno divisa tra due culture

È opinione comune che la Ferrari non sappia fare i telai e che dovrebbe spostarsi in Inghilterra uscendo dal suo dorato isolazionismo e ritornare a vincere.
La questione è complicata e non si può risolvere con un semplice trasloco: si tratta da sempre di uno scontro di culture che fondano la loro origine proprio nel bisogno di vincere e battersi vicendevolmente.
La Scuderia del Cavallino, fin dai suoi albori, ha sempre basato la sua forza sui motori, lo stesso fondatore si fece promotore della realizzazione di un prototipo denominato Alfa Bimotore, riuscendo ad ottenere risultati velocistici eccezionali.
La politica della Ferrari era fortemente influenzata dalla cultura di allora, che non conosceva i canoni dell’aerodinamica e basava la capacità di vincere solo sulla potenza del motore espressa nei lunghi rettilinei.
Il mondo delle corse conobbe un cambiamento con l’avvento del nazismo. Le monoposto di Hitler, bellissime, erano il giusto compromesso tra potenza e penetrabilità; infatti i tecnici tedeschi capirono che la potenza, senza la possibilità di sfruttarla in termini di penetrazione aerodinamica, poteva rivelarsi un handicap. Per un decennio le monoposto tedesche dominarono il panorama delle corse con l’unica eccezione quando Nuvolari, nel agosto del 1935, sfruttò le incerte condizioni di gara e andò a vincere sul circuito tedesco del Nurburgring, battendo l’intero squadrone tedesco. Fino alla guerra sarà l’unico successo italiano e non tedesco.
La guerra fece ricominciare tutto da zero, le monoposto erano quelle del periodo pre bellico dove il motore era prevalente, e Ferrari smanioso di vincere, decise di dotare le proprie monoposto con un potente 12 cilindri che, sebbene non supportato da un telaio adeguato, regalò alla scuderia italiana i primi successi e la notorietà.

Mentre la Ferrari si godeva la celebrità e le prime vittorie, oltre manica apparve una scuola del tutto diversa, dettata dalla mancanza di cultura motoristica al pari degli italiani. Gli inglesi decisero di puntare a creare un telaio agile e aerodinamico, che potesse sposare un propulsore comune esaltandone le doti di elasticità e trazione. Ecco che nacquero scuderie specializzate in realizzazioni di telai che, sposati a un motore comune, dal Repco al Cosworth, cominciarono ad imporsi sui circuiti dando inizio ad una nuova era.
Dall’Inghilterra arrivò il motore posteriore, al quale Ferrari dovette allinearsi, arrivò poi la guida sdraiata, l’effetto suolo e il telaio monoscocca. Tutte innovazioni che condizionarono non poco il futuro delle corse.
Convinto alla fine che avere un motore potente non fosse sufficiente, Ferrari assunse prima Harvey Postlethwaite che, imponendo una tecnologia telaistica già i vigore in Inghilterra, rese le 126 C2 e la C3 praticamente imbattibili.

L’isolazionismo “ferrarista” non giovò al simpatico tecnico che si ritrovò subito alle prese con una tecnologia obsoleta e un Ferrari assettato di vittorie tanto che non ci mise poco a licenziarlo, salvo poi pentirsi, per arrivare ad assumere il genio del momento ovvero il direttore tecnico della McLaren, John Barnard. Il tecnico inglese capì che lavorare a Maranello, così decentrata, non giovava e pretese ed ottenne una Ferrari inglese a Guildford.
I risultati purtroppo tardarono ad arrivare nonostante le monoposto di Barnard fossero concettualmente interessanti ma gravate da tempi di gestazione del progetto talmente lunghi da far perdere alla scuderia italiana tre campionati.
Ma perché questa ritrosia a venire a lavorare alla Ferrari in Italia?
Sicuramente il nome Ferrari incute timore, un successo della monoposto italiana mette in second’ordine tutti gli attori volti al suo raggiungimento, mentre una sconfitta aiuta a trovare colpevoli anche tra gli innocenti; in secondo luogo un progettista che si ritrova a non poter frequentare il proprio mondo con un interscambio continuo d’informazioni lo lascia fermo alle proprie convinzioni, che solo alla prova della pista possono risultare confortanti o meno.

La pecca della Ferrari è stata quella di non aver obbligato nessuno a creare una cultura telaistica: anche i recenti presidenti hanno difettato sotto questo aspetto, non sposando una politica di lungo periodo che porti al felice matrimonio tra motoristi e telaisti, senza che una o l’altra fazione cerchino di imporre il proprio status a discapito dei risultati.
La Ferrari tornerà a vincere? Sicuramente si è la sua storia che ce lo dice; la perseveranza del Cavallino ha sempre premiato anche perché i suoi avversari, privi della cultura sportiva della scuderia italiana, una volta appagati dall’ubriacatura di vittorie, si sono sempre ritirati lasciandola prima attrice assoluta.

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Federico Sandoli

Esperto di logistica e trasporti, sempre pronto a recepire le novità ed a proporre soluzioni operative innovative. Lettore accanito, con una passione particolare per la scienza, la medicina ed…i supereroi. Iscritto al Club Ferrari di Maranello dalla nascita, curo da sempre la mia passione per la Ferrari e la F1 in genere. Colleziono modellini che posiziono rigorosamente in funzione del periodo dell’anno e degli eventi legati a piloti e case costruttori e custodisco gelosamente alcune lettere autografe oggetto di uno scambio di corrispondenza con l’Ing. Ferrari.

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