Le cinque rivoluzioni più significative in Formula 1
In settant’anni e oltre la Formula 1 è mutata in parecchie forme, vuoi per costrizioni regolamentari o soggetti che hanno dato animo a rinnovamenti così decisivi che sono diventati gli standard di oggi. Ma cinque sono le più importanti, andiamo a vedere quali sono.
Motore turbocompresso
Anno 1977: la Renault, al suo esordio nella massima serie, prende parte al campionato di F1 con di un motore V6 di 1500 cc dotato per la prima volta nella storia del Circus di un turbocompressore, ma nessuno, fino ad allora, avrebbe pensato che un motore del genere potesse insidiare gli aspirati.
La tecnica è molto semplice: uno dei modi per aumentare la potenza di un motore è farlo “ingozzare d’aria”. Lo si ottiene mediante di due fondamentali elementi, il compressore e la turbina, che girando immettono nel collettore d’aspirazione aria compressa, sviluppando maggiore potenza e coppia.
Gli inizi sono disastrosi: l’unica turbina montata ha un ritardo di risposta (cosiddetto turbo lag) enorme, dell’ordine dei 5 secondi, così come l’affidabilità, legata all’insufficiente tenuta delle guarnizioni di testa, che cedendo mandano il motore arrosto fra spettacolari nubi di vapore. Gli inglesi, con disprezzo, soprannominarono la Renault “the tea pot”, ossia la teiera.
Nel 1978 il V6 francese viene dotato di due turbocompressori, riducendo notevolmente il ritardo di risposta e nel 1979, con altre migliorie, i primi risultati: i 600 e oltre cavalli erogati portano la prima, storica vittoria del motore turbo al Gran Premio di Francia con Jean-Pierre Jabouille.
Quella corsa, che passa alla storia per il delirante duello ruota a ruota fra Arnoux e Villeneuve, è un campanello d’allarme per tutti. Se il turbo, su di una monoposto non eccelsa come la Renault, ed alla guida di un buon collaudatore poteva imporsi su telai e piloti indiscutibilmente migliori, quella era la via del futuro.
L’era turbo si svilupperà poi pienamente tra tutti i team negli anni ’80, arrivando a rendimenti dei motori impensabili, fino a toccare le soglie dei 1500 CV in qualifica da parte del motorista BMW. Siamo agli estremi e quindi alla possibilità che le vetture siano meno sicure: questo porta a bandirle nel 1989.
Sono tornati ai giorni nostri nel 2014 nella attuale versione ibrida, ritoccando velocità massime mai viste, il record di Hamilton sul circuito di Monza nel 2020 lo dimostra.
Cambio automatico
In verità la Ferrari ci pensa addirittura nel 1979 con Forghieri, ma con parere negativo di Villeneuve, e il progetto accantonato. Lo si riprende nel 1986 grazie al nuovo direttore tecnico John Barnard, convinto che un cambio semiautomatico fosse fondamentale per il ritorno alla vittoria.
Altro motivo è che, con il ritorno dei motori aspirati, questi dovevano operare all’interno di una banda di potenza più stretta rispetto a un motore turbo, richiedendo più cambi di marcia. Nel 1988 vengono realizzati due prototipi, ma peccano di affidabilità, attribuiti a una batteria sottodimensionata, e la Magneti Marelli riesce a porvi rimedio.
Nel 1989 nasce la 640 e il progetto è pronto: è sparita la tradizionale leva sul lato destro dell’abitacolo, per lasciare il posto a due bilancieri posti dietro alle razze del volante: il pilota, con questa soluzione, può concentrarsi di più sulla guida, riducendo i tempi di cambiata.
L’inizio è esaltante: Nigel Mansell vince nella gara d’esordio in Brasile, ma il resto la stagione la Ferrari è afflitta da problemi di trasmissione: il nuovo cambio è ancora acerbo.
La stagione successiva è migliore, in lotta al campionato fino alla fine, ma i restanti team si muovono di conseguenza. La seconda scuderia a introdurla è la Williams nel 1991, seguita a ruota da McLaren e da altri team minori: alla metà degli anni ‘90 tutti ne sono provvisti. La leva è ormai un lontano ricordo.
Monoscocca
In francese lo chiamano monocoque, unico guscio, per via della forma morbida e intera. Fino agli anni 60 le vetture venivano montate da una serie di tubi orizzontali ai quali venivano ancorati i diversi componenti, poi arriva il genio per antonomasia: Colin Chapman.
L’idea viene dai veivoli che solcano i cieli di tutto il mondo: l’uso della monoscocca era comune in aeronautica a quei tempi, ma l’utilizzo di questa tecnologia in Formula 1 era assolutamente innovativa, e offriva una struttura più rigida di tre volte e più resistente di due. Ed è così che nasce la Lotus 25.
È il 1962 e la “Bathtub”, in italiano vasca da bagno, è costituita da due tubi uniti da due paratie, una anteriore posta prima dei piedi del pilota e una dietro il sedile, e un pianale meno rigido che unisce il tutto nella parte inferiore, progettata interamente intorno a Jim Clark.
I risultati non tardano ad arrivare, la prima vittoria arriva al terzo GP, in Belgio. Clark vince ancora in Gran Bretagna e negli Stati Uniti, ma perde il mondiale all’ultima gara, Nel 1963 è iridato, vincendo 7 gare su 10 e altre 3 nel 1964, totale? 25 vittorie, 17 pole position e 13 giri veloci, un trionfo netto.
Un punto di svolta nella storia della Formula 1, gli altri si dovettero adattare. Con uno sviluppo a seguire: nel 1981, John Barnard (sì, ancora lui), se ne usci fuori con la McLaren MP4/1, la prima monoposto con telaio in fibra di carbonio, materiale più leggero e resistente dell’alluminio.
Motore posteriore
Restiamo in quegli anni, 1957, John Cooper fa il salto nella massima competizione per antonomasia, dopo bei risultati tra F2 e F3. È un team piccolo, ma si fa valere, costruendo vetture piccole e leggere. Nel 1958 l’all-in, rilanciando un’idea che farà la sua fortuna, un’intuizione rivoluzionaria che divenne uno dei principi cardine sui quali si poggia ancora oggi la filosofia costruttiva delle monoposto da corsa, spostare il gruppo motore al posteriore.
“Sono in molti a credere che il merito di aver introdotto la filosofia del motore posteriore nelle auto da corsa sia mio” – dichiara lo stesso John Cooper sulle pagine del libro 25 anni di Formula 1, scritto da Piero Casucci e Tommaso Tommasi – “Credo quindi che sia giusto ricordare che sia la Auto Union che la Mercedes Benz, costruirono già negli anni Venti e Trenta delle macchine con il motore alle saplle del pilota.’’
Nei primi anni in F.1 si era tornati perciò a un motore davanti al pilota, e la sua mossa è devastante: la sconosciuta scuderia, composta da una decina di persone, vince sia il campionato piloti che costruttori nel 1959 e nel 1960, con Jack Brabham alla guida.
Altro che vedere i buoi dietro al carro, come disse Enzo Ferrari: anche lui si dovette ricredere. “Dopo, molti cominciarono a recepire il nostro “messaggio”, anche se alla Ferrari si arrivò al motore posteriore solo nel 1961. Ma a quell’epoca tutti avevano già copiato questa buona idea. Al GP di Monaco del ’61, cinque anni dopo l’apparizione della nostra piccola Cooper Climax F2, tutte le macchine in gara avevano il motore alle spalle del pilota!”.
Effetto suolo
Ultimo ma non la più importante è l’introduzione dell’effetto Venturi, cioè come creare deportanza utilizzando opportune conformazioni del fondo vettura, grazie alla pressione dell’aria che passa sotto di essa, creando così una depressione tra il fondo e l’asfalto, attaccandolo al suolo appunto.
Non è una novità assoluta; l’effetto suolo è infatti un fenomeno noto nel mondo dell’automobilismo, almeno sulla carta, già a partire dagli anni ‘30. È sul finire degli anni ’60 che l’effetto suolo comincia ad essere applicato nella pratica, ma con scarsi risultati.
Il primo a riuscirci con efficacia è sempre lui, Colin Champan, con la mitica Lotus 78. Ne parliamo ampliamente qui.
È ritornata in auge proprio quest’anno, con le problematiche che ne conseguono, come per esempio il cosiddetto porpoising, la perdita improvvisa di carico aerodinamico, che innesta un saltellamento continuo e costante.
Menzioni speciali
Tra le rivoluzioni più significative in Formula 1 ce ne sarebbero altre da raccontare, a cominciare dall’avvento degli alettoni a fine anni ‘60, oppure parlare del mass dumper, introdotta dalla Renault, un sistema che aveva il compito di creare un oscillazione verticale delle sospensioni in grado di interferire con quella delle gomme a contatto con l’asfalto, stabilizzando l’avantreno, così da essere molto più guidabile e con un maggior carico aerodinamico.
Ma anche del F-Duct, ad opera della McLaren nel 2010, dove il pilota chiudeva con una mano un foro situato nell’abitacolo, con il risultato di mandare in stallo l’ala posteriore, riducendo la resistenza all’avanzamento della vettura, entrambe bandite… l’estro e il genio ha sempre contraddistinto la storia della Formula 1, seppur in modo minore ora. Vedremo se il 2022 con i nuovi regolamenti sarà l’anno della svolta.