Le morti più tragiche in Formula 1, parte III: con Jules Bianchi il Circus torna vulnerabile
Non solo i piloti sono morti. Nel corso della storia durante i Gran Premi ci hanno lasciato anche commissari, addetti ai lavori e spettatori

LA STORIA DELLA FORMULA 1 HA DA SEMPRE CAMMINATO PARALLELAMENTE ALLA PAROLA MORTE
Che un pilota partisse dalla prima o dall’ultima posizione, alla signora con la falce in mano non faceva alcuna differenza. Oltre trenta sono stati i piloti deceduti a causa di un incidente, direttamente in pista, oppure per le lesioni subite, giorni, settimane o addirittura mesi dopo l’impatto.
Soprattutto tra gli anni ’50 e ’70, forse uno dei fattori che ha causato il maggior numero di morti in Formula 1 è stato il fuoco. Non sono stati rari i casi in cui le monoposto, in caso di incidente e molto probabilmente a causa del carburante che fuoriusciva, andassero in fiamme con a bordo i loro cavalieri del rischio. Forse, l’unico che è riuscito a uscire da un inferno di fuoco e ha avuto anche l’occasione di raccontarlo fu Niki Lauda.
Eppure non solo i piloti sono deceduti. La pista è stata amara anche con i commissari, almeno in tre occasioni dall’inizio del nuovo millennio e nonostante le imponenti misure di sicurezza. Nel 2000, a Monza morì Paolo Gislimberti, ucciso da una ruota di Frentzen. Nel 2001, a Melbourne, fu il turno di Graham Beveridge. Anche lui morì a causa di uno pneumatico impazzito partito dalla collisione tra Jacques Villeneuve e Ralf Schumacher. In Canada, nel 2013, un commissario di 38 anni è deceduto tragicamente, investito dal camion utilizzato per recuperare la Sauber di Gutierrez. In questa terza e ultima parte, andiamo a ripercorrere assieme un’altra serie di momenti tragici vissuti in F1.
LUIGI FAGIOLI
Nato nel 1898, Luigi Fagioli è un pilota del quale si conosce poco. Eppure ha contribuito a scrivere alcune delle pagine più importanti della storia della F1 grazie alla sua classe, al suo sangue freddo, al suo coraggio e al carattere deciso.
Iniziò la sua carriera sportiva a bordo di una moto ma dopo pochissime gare passò dalle due alle quattro ruote. Fu protagonista di un incidente e il padre lo pregò di passare alla carriera automobilistica.
Tra il 1925 e il 1930 guidò prima una Salmson gareggiando nella Formula Libre, per poi passare a una nettamente più veloce Maserati, con la quale correrà fino al 1933.
Proprio in quella stagione conobbe Enzo Ferrari che gli propose di correre con l’Alfa P3 con la quale otterrà il titolo di Campione italiano, trionfo che lo metterà nel mirino della Mercedes. Il pilota originario di Osimo si trasferì nel team tedesco col quale ottenne buoni piazzamenti che purtroppo non ebbero enorme riscontro sulla stampa italiana.
È proprio in questi anni trascorsi con la Mercedes che viene fuori il carattere deciso e tenace di Luigi Fagioli che, assieme alla scuderia si accordò per la risoluzione anticipata del contratto. Nel 1937 passò in Auto Union ma prese parte a poche gare a causa di un problema alla sciatica. Inizialmente si pensò potesse trattarsi di una sosta breve, ma lo scoppio della guerra permise a Luigi Fagioli di tornare nel mondo delle corse solo nel 1947, a bordo di una FIAT Monaci, mentre tra il 1949 e il 1951, salì a bordo di una Osca.
Dopo aver guidato auto di piccola cilindrata, nel 1950 l’Alfa richiamò Luigi Fagioli, ormai 52enne, per prendere parte al Campionato di Formula 1, a fianco di Farina e Fangio. Nel 1951 l’italiano riesce anche a cogliere una vittoria a pari merito con Fangio, nel GP di Francia. Trionfo che, ancora oggi, gli ha permesso di rimanere il pilota più anziano ad aver vinto un GP di Formula Uno. Nel 1952, Fagioli passò alla Lancia che aveva deciso di affidargli una delle sue B20.
Era il 31 maggio. A Monaco, in occasione delle prove ufficiali del GP di Monaco per vetture GT, Luigi Fagioli fu protagonista di un brutto incidente all’uscita del tunnel proprio alla guida della Lancia B20. Rimase gravemente ferito e morì il 20 giugno a causa delle lesioni riportate nel Principato.
CHARLES DE TORNACO
Classe ’27, Charles de Tornaco, esattamente come la maggior parte dei piloti dell’epoca proviene da una famiglia aristocratica. Figlio del barone Raymond de Tornaco, a 21 anni iniziò di fatto la sua attività agonistica spinto dall’amico Jacques Swaters, assieme al quale prese parte alla 24 Ore di Spa del 1948.
L’anno successivo partecipò ancora alla stessa gara, ma questa volta a bordo di una BMW mentre nel 1950 si trovò a gareggiare al volante di una Veritas.
Nel 1951 iniziò a correre in Formula 2 mentre il Campionato del Mondo di Formula 1 arrivò solamente un anno dopo, nel 1952. Nella classe regina del Motorsport, il giovane de Tornaco ottenne alcuni buoni piazzamenti a bordo della Ferrari 500, come ad esempio il settimo posto ottenuto al GP del Belgio e il nono posto di Le Mans, nel giugno 1953.
Era il 18 settembre del 1953. Erano passati appena pochi mesi dalla leggendaria gara di resistenza. In occasione di una sessione di prove libere del GP di Modena, Charles de Tornaco non stava spingendo più del dovuto. Per controllare dove si trovassero i suoi diretti inseguitori, guardò indietro e perse di netto il controllo della sua Ferrari. Rotolò con la sua vettura e in questo sfortunato incidente provocò lesioni importanti alla testa e al collo. Morì a 26 anni durante il tragitto verso l’ospedale per le ferite.
PETER COLLINS

Classe ’31, Peter Collins ancora al giorno d’oggi viene riconosciuto come il pilota gentiluomo per eccellenza. Capelli biondi e viso da attore cinematografico. Vinse solo 3 Gran Premi in carriera e se il destino non ci avesse messo lo zampino, avrebbe potuto diventare facilmente il primo pilota inglese a vincere il titolo mondiale in Formula 1.
Appassionato di motori fin dalla più tenera età, il debutto nelle gare automobilistiche avvenne a 17 anni e proprio per le sue doti riuscì ad attirare subito le attenzioni dell’ambiente.
Nel 1952, a soli 21 anni, fece il suo debutto in Formula 1 al volante della HWM. Passò poi alla Vanwall e nel 1955 si rese protagonista di due apparizioni in Maserati.
Proprio la sua guida pulita e fruttuosa allo stesso tempo convinse Enzo Ferrari a ingaggiarlo e dal 1956, Peter Collins divenne un pilota del Cavallino Rampante, forse uno dei più amati dal Drake.
Il pilota inglese viene ricordato per un fatto davvero particolare avvenuto in occasione del GP d’Italia del 1956. Quella di Monza era l’ultima gara della stagione e il titolo iridato sarebbe finito nelle mani della Ferrari: Fangio ha 8 punti di vantaggio in classifica su Collins che, per trionfare, deve sperare che l’argentino arrivi quinto o peggio. Fangio fu costretto al ritiro e l’inglese, non si sa se per sua autonoma scelta o meno, decise di rientrare ai box e cedere la sua Ferrari all’argentino che concluse la gara al secondo posto, conquistando così il suo quarto titolo. I sogni di gloria di Peter Collins si interruppero improvvisamente durante il GP di Germania del 1958.
Era il 3 agosto e la “classe regina del motorsport” faceva tappa sul tracciato del Nurburgring. L’inglese perse il controllo della sua Ferrari al Pflanzgarten. La Rossa numero 2 finì in un fosso, si capottò e chiuse la sua corsa contro un albero. Collins si fratturò il cranio e morì durante il trasporto all’ospedale di Bonn.
STUART LEWIS-EVANS

Classe ’30, Stuart Lewis-Evans rimase immediatamente colpito da tutto quello che gravasse attorno al mondo automobilistico fin dalla più tenera età. Il padre, ‘Pop‘ Lewis-Evans, possedeva un garage nella città di Bexleyheath, nel Kent, e lui stesso era stato meccanico per Earl Howe, vincitore della 24 Ore di Le Mans.
Dopo aver lasciato la scuola per un apprendistato presso la Vauxhall Motors, nel 1951 Lewis-Evans venne incoraggiato proprio dalla figura paterna ad avviare la sua carriera agonistica nel mondo delle quattro ruote. Corse in Formula 3 per cinque stagioni dove ottenne buoni risultati e vinse alcuni appuntamenti anche in Italia. Il suo primo contatto col mondo della Formula 1 avvenne nel 1956. L’inglese prese parte alla BRSCC Race a Brands Hatch, gara fuori campionato, che chiuse in seconda posizione a staccato di meno di quattro secondi dal compagno di squadra Scott-Brown.
Il vero debutto nella classe regina del Motorsport avvenne nel 1957 quando venne assunto dalla Vanwall come terzo pilota, a seguito del quarto posto ottenuto in occasione del GP di Monaco. Con la scuderia britannica, Lewis-Evans giunse quinto a Pescara e ottenne la pole position a Monza. Per il pilota inglese era appena il suo sesto GP in carriera. E il 1958 avrebbe dovuto rappresentare l’anno della consacrazione per Lewis-Evans e la Vanwall.
Era il 19 ottobre 1958 e la Formula 1 faceva tappa in Marocco. Al 41esimo giro della corsa, il pilota inglese fu protagonista di un gravissimo incidente. A causa di un problema tecnico la sua monoposto impattò violentemente contro le barriere di protezione, prendendo immediatamente fuoco col pilota ancora al suo interno. Lewis-Evans riuscì a uscire dalla vettura ma morì sei giorni dopo, in ospedale, a causa delle ustioni che si era procurato nel tremendo incidente.
JEAN BEHRA

Classe ’21, Jean Behra sarà ricordato per due caratteristiche della sua guida: la velocità e l’aggressività.
A differenza di come potrebbe essere facile intuire, l’esordio motoristico del francese avvenne sulle due ruote, nel 1938. Vinse quattro titoli nazionali in sella a una Moto Guzzi tra il 1948 e il 1951, prima del suo debutto nel motomondiale, in occasione del GP di Svizzera 1949.
E proprio in quella stagione avvenne il primo contatto col mondo delle quattro ruote: Behra partecipò al Rally di Montecarlo e alla 24 ore di Le Mans. Il debutto in Formula 1 è datato 1952, GP di Svizzera. Il pilota francese, al volante di una Gordini T16, al debutto chiuse la gara in terza posizione e nel corso del campionato ottenne buoni risultati che gli valsero la conferma per la stagione successiva. Nel 1953 ottenne punti solo in occasione del GP di Argentina e quella del 1954 fu la sua ultima stagione nel team Gordini.
L’anno successivo Jean Behra passò in Maserati dove vinse tre gare non valide per il campionato a Pau, Bordeaux e a Bari. La sua migliore stagione corsa sotto i colori della casa del tridente è quella del 1956, dove ottenne il quarto posto assoluto nel mondiale.
Nel 1958, il pilota francese corse il GP di Argentina, prova inaugurale della stagione, ancora con Maserati, prima di trasferirsi in BRM. Ma se la Formula 1 sembra essere avara di soddisfazioni, in quello stesso anno Jean Behra alla Targa Florio, dove ottenne un secondo posto, e alla 24 Ore di Le Mans che lo vide chiudere la gara in terza posizione.
Nel 1959 passò alla Ferrari per correre al fianco di Tony Brooks ma dopo appena 4 GP, lasciò il Cavallino Rampante a causa di un’accesa diatriba con Romolo Tavoni, allora Direttore Sportivo della Rossa. Continuò la sua avventura in Formula 1 da pilota privato, acquistando e modificando una Porsche.
Era il 2 agosto, appuntamento in Germania. Al quarto giro della corsa, la monoposto di Behra andò in testacoda a causa del cedimento di un supporto. Urtò violentemente l’asta di una bandiera. Il pilota morì all’istante.
CAREL GODIN DE BEAUFORT

Classe ’34, Carel Godin de Beaufort viene ancora oggi considerato l’ultimo vero “dilettante“ tra i piloti di Formula 1. Di nascita aristocratica e con stretti legami con la famiglia reale olandese, de Beaufort è stato attratto dai motori fin da bambino.
Il padre lo spinse a diventare un ufficiale di cavalleria e dopo pochissimo tempo si trovò al comando di un carro armato da 49 tonnellate. Le automobili continuavano a inculcarsi nella testa dell’olandese e la sua carriera militare, terminò poco dopo, quando il nobile incontrò Thieu Hezemans, rivenditore di auto dal quale acquistò la sua prima Porsche.
Il debutto nel mondo delle corse è datato 1955, al Tulip Rally. Carel Godin de Beaufort però era incuriosito dalle prove su pista e nel 1956 gli venne presentato Fritz Huscke, all’epoca direttore delle competizioni Porsche che lo mise sotto contratto e iscrisse l’olandese alla 1000 km del Nurburgring, che chiuse in seconda posizione, e alla 24 Ore di Le Mans, che non riuscì a finire.
Nel 1957 de Beaufort partecipò con una Porsche di Formula 2 al GP di Germania con il suo team, l’Ecurie Maarsbergen. Per il debutto in Formula 1 dovette aspettare ancora qualche stagione: solamente nel 1961 riuscì a correre con regolarità nella categoria regina del Motorsport, sulla sua Porsche 718.
La stagione migliore di Carel Godin de Beaufort in Formula 1 risale al 1963. I piazzamenti peggiori di quell’anno furono tre decimi posti, sebbene l’olandese dovette ritirarsi in Germania e non riuscì a qualificarsi in Italia. Chiuse il campionato in 14esima posizione.
Era il 1° agosto del 1964 e la Formula 1 faceva tappa al Nurburgring per il GP di Germania. Durante le qualifiche, la Porsche 718 del pilota olandese si schiantò alla curva Bergwerk e de Beaufort venne scaraventato fuori dall’auto. Venne trasportato d’urgenza in ospedale. Inizialmente si pensò che il pilota si fosse rotto una gamba. La rottura dello sterno provocò lesioni spinali e paralisi che decretarono la morte di Carel Godin de Beaufort il 2 agosto 1964.
JOHN TAYLOR

Classe ’33, John Taylor prima di dedicarsi al mondo delle corse lavorò come ingegnere di volo nella Royal Air Force. Il suo debutto come pilota è datato 1960, quando in Formula Junior si unì al team di Bob Gerard, ex pilota diventato team manager e grande estimatore di Taylor.
Nel biennio 1962-1963 ha continuato a correre in Formula Junior, cominciando a prendere confidenza col mondo della Formula 1, partecipando a una gara non valevole per il campionato.
Il vero debutto nella massima serie automobilistica è datato 1964 e avvenne sempre sotto i colori della Gerard Racing. Taylor disputò il GP di Gran Bretagna, a Brands Hatch con la Cooper T73-Ford numero 22, dove arrivò 14esimo.
Il 1965, vide impegnato il pilota inglese nella Formula 2. A Reims chiuse la gara in ottava posizione mentre a Silverstone arrivò settimo, all’Oulton Park non riuscì a partire mentre alla Gold Cup dovette ritirarsi.
Nel 1966 ritornò in Formula 1 trasferendosi nel team di David Bridges, alla guida di una Brabham BT11-BRM. Dopo aver chiuso il BRDC International Trophy in sesta piazza, in occasione del GP di Francia, seconda gara della sua carriera, conquistò il primo e unico punto iridato della carriera grazie a un sesto posto. Nel GP di Gran Bretagna, a Brands Hatch, e in Olanda, a Zandvoort, arrivò ottavo.
Era il 7 agosto del 1966 e la Formula 1 faceva tappa in Germania. La gara inizio sotto una pioggia scrosciante. Taylor partiva dalla 25esima posizione e nel corso del primo giro si rese protagonista di una tremenda collisione con la Matra F2 di Jacky Ickx. La vettura dell’inglese prese fuoco e il pilota rimase gravemente ustionato. Venne portato all’ospedale ma morì per le gravi ferite quattro settimane dopo.
LORENZO BANDINI

Classe ’35, Lorenzo Bandini è stato probabilmente uno dei piloti più amati della sua epoca. Nonostante fosse nato a Barce, nella Libia italiana, a seguito dello scoppio della Seconda Guerra Mondiale, la famiglia tornò in patria e si stabilì a San Cassiano di Brisighella dove viveva in condizioni economiche abbastanza agiate.
Il conflitto mondiale però scombinò le carte in tavola della famiglia Bandini: nel 1940 Giovanni, padre del piccolo Lorenzo, dovette andare al fronte e nel 1944 scomparve improvvisamente. Solo in un secondo tempo si venne a sapere che era stato catturato e fucilato.
I bombardamenti intanto avevano distrutto l’albergo che gestiva il padre, facendo cadere la famiglia in rovina. Per questo motivo la madre Elena, decise di trasferirsi a Reggiolo dove poteva contare sul supporto di alcuni parenti. E proprio in questo comune, Lorenzo iniziò a lavorare come apprendista nell’officina di Elico Millenotti, meccanico di motociclette. Nel 1950 Lorenzo decise di lasciare la provincia emiliana per andare in città e raggiunse la sorella maggiore, Gabriella, a Milano. Qui iniziò a lavorare nel Garage Rex di Goliardo Freddi, in via Plinio.
Proprio quest’ultimo avrà un ruolo chiave nell’avvio di Lorenzo Bandini all’attività agonistica come pilota. Freddi iniziò a volergli bene come un figlio e iniziò a portarselo con sé ogni volta che andasse a Monza per assistere a qualche gara. Sebbene Lorenzo continuò a lavorare come meccanico, nella sua testa cominciava a farsi sempre più prepotente la volontà di iniziare a correre.
E proprio in questo momento Goliardo Freddi fu fondamentale. Nel 1956 prestò la propria Fiat 1100 TV bicolore a Bandini che così poté disputare la Castell’Arquato–Vernasca. A differenza dei più blasonati colleghi, non fu facile per il pilota italiano farsi notare nell’ambiente. Iniziò a prendere parte a cronoscalate importanti e la prima vittoria arrivò due anni dopo il suo debutto, nel 1958, quando alla Mille Miglia, nella 2000 Gran Turismo, si classificò primo.
Negli anni successivi ottenne risultati di tutto rispetto: nel 1959 corse in Formula Junior, ottenne tre vittorie importanti alla Catania-Etna, a Innsbruck e in occasione della Coppa della Madunina, a Monza. Chiuse in seconda posizione alla Pontedecimo-Passo dei Giovi, terzo alla Coppa d’Oro di Sicilia e chiuse quarto in occasione della Coppa S. Ambroeus e al Gran Premio di Monaco di Formula Junior.
Lorenzo Bandini era sicuro più che mai a proseguire su questa strada per raggiungere quello che si era prefissato come obiettivo: la Formula 1. Ci andò vicino nel 1961 quando la Ferrari decise di prendere un giovane promettente al quale affidare una delle sue monoposto. Il pilota che la spuntò fu Giancarlo Baghetti e nonostante la cocente delusione, Bandini riuscì a farsi notare da Mimmo Dei, titolare della scuderia Centro-Sud, che gli offrì un contratto per la stagione 1961. Il debutto vero e proprio nella massima serie automobilistica avvenne il 18 giugno, in occasione del GP del Belgio. Purtroppo la sua gara si concluse dopo appena 20 giri per un guasto.
Grazie alle sue doti e alla sua combattività Enzo Ferrari gli offrì un contratto per correre con la Rossa a partire dal 1962. Bandini fece il suo esordio a Pau, gara non valida per il mondiale, e corse il GP di Monaco, arrivando subito sul gradino più basso del podio. Fu una stagione deludente per il Cavallino Rampante e anche il 1963 non fu il massimo.
Grazie alla vittoria della 24 Ore di Le Mans e ad altri piazzamenti importanti in gare non valevoli per il campionato, Lorenzo Bandini fu confermato dalla Ferrari anche nel 1964. Per la prima volta in carriera il pilota italiano, promosso a secondo pilota, poté disputare l’intera stagione. In occasione del GP d’Austria vinse il suo primo Gran Premio di Formula 1 e grazie a tre terzi posti e altri piazzamenti a punti, a fine stagione si portò a casa 23 punti totali che gli valsero la quarta posizione in campionato.
Dopo un biennio 1965-1966 difficile per il pilota italiano e la Ferrari, il 1967 iniziò nel migliore dei modi. Lorenzo era ufficialmente il primo pilota del Cavallino Rampante grazie alla doppia vittoria ottenuta alla 24 Ore di Daytona, a febbraio, e alla 1000 km di Monza, ad aprile. In quella stagione la Ferrari, dopo aver preferito non presentarsi in Sudafrica, fece il suo debutto nel secondo appuntamento mondiale, a Monaco.
Era il 7 maggio. Bandini scattò bene e prese la testa della corsa ma poco dopo prese in pieno una chiazza d’olio fuoriuscita dalla monoposto di Jack Brabham e scivolò indietro in classifica. L’italiano era spossato ma continuò a correre e la tragedia si consumò all’82esimo giro.
La Ferrari di Lorenzo colpì una bitta di ormeggio delle navi e la sua 312 si ribaltò prendendo fuoco. I soccorsi furono lenti e le prime ricerche vennero fatte nelle acque del porto, pensando che il pilota fosse stato sbalzato fuori dalla vettura. Furono Giancarlo Baghetti e un gruppo di amici di Bandini a richiamare l’attenzione dei soccorritori nei confronti della monoposto. Purtroppo rimase intrappolato all’interno della sua Ferrari. Venne estratto e trasportato d’urgenza all’ospedale ma aveva ustioni su oltre il 60% del corpo. Lorenzo Bandini morì il 10 maggio 1967, senza aver mai ripreso conoscenza da dopo l’incidente.
JOSEPH SIFFERT

Classe ’36, Joseph “Jo” Siffert a livello motoristico è stata una vera icona degli anni sessanta. Veloce e poliedrico, ha saputo gareggiare validamente sia in moto, sia sulle monoposto e ancor di più sulle vetture Sport, che grazie alle sue caratteristiche di guida pilotava magistralmente.
Proveniente da una famiglia di umili origini, decise che sarebbe diventato un pilota professionista all’età di dodici anni, quando il padre lo portò ad assistere al Gran Premio di Svizzera del 1948.
“Seppi“, come era amichevolmente soprannominato, aveva cominciato a gareggiare in moto nel 1957 con una Gilera 125 alla quale affiancò poi una AJS 350. Prese parte a gare in salita, motomondiale, Touist Trophy, e perfino al Sidecar TT come passeggero.
Il debutto in Formula 1 avvenne nel 1962 con una Lotus Climax. Il pilota svizzero partecipò a 96 Gran Premi in tutto, conquistando due pole e ottenendo due vittorie, rispettivamente nel GP di Gran Bretagna del 1968 e nel GP d’Austria del 1971. E proprio questa stagione fu in assoluto la migliore in Formula 1 per Jo Siffert: chiuse il campionato in quinta posizione con 19 punti totali conquistati nel corso dell’anno.
Oltre alla classe regina del Motorsport, dal 1968 al 1971 il pilota svizzero aveva fatto il suo ingresso anche nel mondo riservato alle vetture Sport. Il primo e vero ingaggio gli fu offerto dalla Porsche, casa alla quale rimarrà legato per tutta la vita. Nel 1968, l’anno del debutto, vinse alla 24 ore di Daytona, alla 12 ore di Sebring e alla 1000 km del Nurburgring; l’anno successivo trionfò alla 1000 km d’Austria, nuovamente alla 1000 km del Nurburgring, alla 500 miglia di Brands Hatch, alla 6 Ore di Watking Glen e alle 1000 km di Monza e Francorchamps. Nel 1970 vinse anche la Targa Florio, in coppia con Redman.
Era il 24 ottobre 1971. Jo Siffert partiva dalla pole position della World Championship Victory Race, gara di Formula 1 non valevole per il campionato. Sembrava essere destinato a vincere quella corsa ma il destino ebbe altro in serbo per il pilota svizzero.
In occasione del primo giro della gara, alla curva numero sedici, “Seppi” ebbe una collisione con Peterson. Non un urto tremendo, ma probabilmente in quel momento danneggiò la sospensione della sua BRM e uscì di pista poco più tardi.
La vettura prese immediatamente fuoco e Siffert morì dentro alla sua monoposto, intrappolato, tanto che anche l’intervento dei commissari giunti sul posto risultò vano.
MARK DONOHUE

Classe ’37, Mark Donohue ancora oggi viene definito il vero “ingegnere-pilota”. Dopo aver conseguito la laurea in ingegneria meccanica, nel 1959 decide di iniziare a dedicarsi alle corse. Inizialmente di nascosto dai genitori, nelle corse in salita americane. Proprio negli States conobbe Roger Penske e i due, collegati da una viscerale passione per le corse, diventeranno ottimi amici.
Nel 1967, per prendere parte alla United States Road Racing Championship, fu proprio Roger Penske a offrire a Donohue il volante della Lola T70, permettendogli di dominare letteralmente la stagione. Nel 1968 dovette difendere il titolo ma questa volta disputò la stagione a bordo della nuova McLaren M6A Chevrolet. Purtroppo a causa di numerosi problemi meccanici l’annata non regalò risultati entusiasmanti.
Nel 1969 corse con la Penske Chevy Camaro riuscendo a vincere 10 delle 13 gare del calendario e nello stesso periodo, tra il 1968 al 1971, il pilota statunitense prese parte anche al campionato Nascar.
Partecipò due volte alla prestigiosa 500 Miglia di Indianapolis. Nel 1969 chiuse la corsa al settimo posto e venne eletto Rookie of the Year mentre nel 1970 sfiorò la vittoria, arrivando secondo. La vittoria arrivò finalmente nel 1972, ma questa volta al volante di una McLaren.
Mark Donohue debuttò nel campionato di Formula 1 nel 1971, in occasione del GP del Canada al volante di una McLaren-Ford M19A messa a disposizione proprio dal suo grande amico, Roger Penske. Chiuse la sua prima gara salendo sul gradino più basso del podio, dietro Jackie Stewart, il vincitore, e Ronnie Peterson. Nel biennio ’72-’73, Donohue rimase fuori dalla Formula 1 per aiutare, date le sue grandi doti di collaudatore, il team Penske nello sviluppo di una Porsche 917/10 che nel campionato Can-Am del 1973 lasciò letteralmente solo le briciole agli avversari.
Nel 1974 Mark Donohue tornò ufficialmente in Formula 1 per prendere parte agli ultimi due GP dell’anno con la Penske-Ford PC1 mentre nel 1975 partecipò a tutto il campionato. La stagione cominciò nel migliore dei modi: in Svezia e Gran Bretagna arrivò quinto ma il destino aveva in serbo altro per il pilota statunitense.
Era il 17 agosto e il campionato faceva tappa in Austria. È domenica mattina e tutti i drivers stanno prendendo parte al warm-up. Quando erano trascorsi ormai i primi venti minuti, la March 751 di Donohue finì fuori di pista a causa di una foratura. Il pilota perse il controllo della monoposto e terminò la sua corsa a piena velocità contro le reti, sbatté violentemente contro il guardrail, piegandolo, e rientrò il pista dopo aver fatto una rotazione di 360°. Fu estratto dall’abitacolo da Emerson Fittipaldi e Hans-Joachim Stuck, che si erano fermati e le condizioni sembrarono gravissime fin dai primi attimi. Donohue venne trasportato alla clinica universitaria di Graz ma già durante il trasporto ebbe la necessità di un massaggio cardiaco. Giunto all’ospedale venne sottoposto a un delicato intervento chirurgico. Dopo un paio di giorni di terapia intensiva, perse improvvisamente conoscenza e non si svegliò mai più. Venne dichiarato morto per emorragia cerebrale il 19 agosto 1975.
ELIO DE ANGELIS

Classe ’58, Elio de Angelis è stato sicuramente uno dei piloti italiani più forti nella storia della Formula 1. Sempre sorridente, il romano viene ricordato ancora col nome di “Pilota Gentiluomo” grazie al suo carattere mite e alla sua passione per il mondo dell’arte e soprattutto della musica. Se non avesse deciso di diventare un pilota di Formula 1, avrebbe potuto diventare tranquillamente un pianista o un compositore. Suonava il piano in maniera eccezionale.
Figlio del costruttore romano Giulio De Angelis, Elio iniziò a competere in kart all’età di 14 anni e diventò campione italiano di Formula 3 nel 1977. L’anno successivo passò in Formula 2 dove riuscì a farsi notare tanto che Enzo Ferrari lo invitò a Maranello per inserirlo nel progetto giovani e offrirgli un posto in Formula 2, in Minardi.
Il debutto vero e proprio in Formula 1 avvenne nel 1979, in occasione del GP di Argentina, a bordo di una Shadow. In quell’anno di rodaggio conquistò punti solo una volta, sul circuito di Watkins Glen, ultima tappa del mondiale, dove chiuse in quarta posizione.
Nel 1980 si trasferì alla Lotus, grazie soprattutto all’interessamento di Colin Chapman che apprezzava la gentilezza e la validità in pista del romano, e qui vi rimase fino al 1985. Con la scuderia inglese, Elio de Angelis disputò 92 GP, salendo 9 volte sul podio e ottenendo 2 vittorie, nel GP d’Austria del 1982 e in occasione del GP di San Marino del 1985.
Scomparso però Chapman, la Lotus iniziò ad andare stretta al pilota romano e il vero punto di rottura avvenne tra il 1983 e il 1984. La scuderia inglese venne affidata a Peter Warr e la convivenza con Ayrton Senna, che portò in squadra un’importante numero di sponsor, fece sentire De Angelis un subordinato del brasiliano che all’effettivo aveva catalizzato su di sé tutte le attenzioni del team.
Nel 1986, il romano passò alla Brabham. Il suo compagno di squadra era un altro italiano, Riccardo Patrese. La BT55 era poco competitiva, per Elio anche poco sicura, e i due piloti piloti cercarono di fare di tutto per apportare significativi miglioramenti.
Era il 14 maggio 1986. Durante una sessione di prove sul circuito di Le Castellet, mentre De Angelis procedeva ad alta velocità l’alettone posteriore della sua BT55 si staccò.
La monoposto del romano capottò più volte, andò a finire contro una barriera e prese fuoco. I primi che si fermarono per provare a strappare il collega dal rogo furono Alan Jones e Nigel Mansell; Alain Prost sfidò le fiamme nel vano tentativo di estrarre de Angelis dalla monoposto.
Solamente dopo alcuni minuti arrivarono i commissari che riuscirono a liberare il pilota romano dai grovigli della vettura. de Angelis fu ricoverato all’ospedale di Marsiglia in gravissime condizioni: aveva un trauma cranico, lesioni alla colonna vertebrale, fratture alla cassa toracica, senza contare le ustioni. Morì il 15 maggio a causa dell’asfissia provocata dal fumo dell’incendio, essendo rimasto intrappolato nell’abitacolo per sette minuti.
JULES BIANCHI

Classe ’89, Jules Bianchi era un ragazzo che aveva un grande sogno. E aveva tutte le carte in regola per realizzarlo. Sempre sorridente, gentile e un brillantissimo pilota. Per vederlo su una Ferrari, i tifosi avrebbero dovuto aspettare altre poche stagioni.
Di chiare origini italiane, come traspare dal suo cognome, era il nipote di Lucien Bianchi, morto nel 1969 durante le prove della 24 Ore di Le Mans. A differenza di altri piloti, Jules ha fatto una lunga gavetta nelle formule minori.
Bianchi ha iniziato la sua carriera nel 2004, all’età di 14 anni, prendendo parte nelle categorie juniores di kart, chiudendo l’anno in seconda posizione. Nel biennio 2005-2006, fu ancora impegnato nel mondo del karting però in categoria Formula A portandosi a casa riconoscimenti importanti oltre che i titoli di campione di Francia e campione nella WSK International Series nella categoria 125 Super-ICC.
Nel 2007 arrivò finalmente il debutto in monoposto, in Formula Renault, laureandosi campione di Francia con 5 pole position, 5 vittorie, 11 podi in tredici corse. Nel 2008 e nel 2009 prese parte alla F3 Euroseries dove nella prima stagione chiuse il campionato in terza posizione mentre l’anno successivo conquistò il titolo di campione con la ART Grand Prix grazie a 6 pole position, 9 vittorie e 12 podi.
Con il definitivo arrivo in GP2, categoria propedeutica della Formula 1, il Circus non sembrava poi così lontano. Le prestazioni ottenute in pista nel biennio 2009-2010 sono tali da suscitare l’interesse del Cavallino Rampante per Jules Bianchi. Il pilota francese venne inserito nel programma Ferrari Driver Academy, riservato ai giovani piloti. Si sedette al volante di una Ferrari F60 a Jerez in un test nel mese di dicembre 2009 mentre l’anno successivo, a dicembre, testò i nuovi pneumatici Pirelli a Yas Marina su una Ferrari F10. Nel 2011 Jules prese parte alla GP2 e alla GP2 Asia. Sebbene partisse da favorito chiuse la stagione in terza posizione, ottenendo una vittoria, una pole position, cinque piazzamenti sul podio e sei arrivi a punti.
In attesa della chance che portava il nome di Ferrari, nel 2012 la Formula 1 spalancò le porte al pilota francese che accettò la proposta della Force India di diventare il loro terzo pilota. Nel 2013 decise di passare alla Marussia. Nonostante la scarsa competitività della vettura, Jules riuscì a mettere in mostra le proprio capacità. Nel 2014 Bianchi venne confermato dalla scuderia britannica e a Monaco, grazie a un eccezionale ottavo posto, riuscì a conquistare i primi punti nella storia della Marussia, che purtroppo si riveleranno gli unici della carriera del giovane francese.
Il 5 ottobre 2014 è una data che i tifosi non dimenticheranno facilmente. Per la prima volta dalla morte di Senna, la Formula 1 ripiombò in una dimensione di vulnerabilità a cui nessuno era più abituato. L’immagine della Marussia ridotta in rottami e Adrian Sutil, voltato di spalle, a guardare quella scena raccapricciante, è un’istantanea ancora vivida nella memoria degli appassionati.
Nel corso del GP del Giappone, a causa della pioggia torrenziale, Jules Bianchi perse il controllo della sua monoposto. Uscì di pista e scivolando sull’asfalto bagnato, impattò violentemente contro un mezzo di soccorso che si trovava in quel punto per recuperare la vettura di Sutil, uscito pochi istanti prima. Le condizioni del francese apparirono fin da subito disperate. Venne trasportato in ospedale e subì un intervento per ridurre un ematoma al cervello. Non riprese mai conoscenza e venne dichiarato morto nella notte fra il 17 e 18 luglio 2015, dopo nove mesi di coma.