Peterson: lo svedese che infiamma
Si racconta che Peterson per rilassarsi fosse solito osservare i pesci del suo acquario
Peterson fu un grande senza diventare grandissimo e ancora ora chiediamo al destino perché. Se il destino non lo avesse chiamato a se, oggi sarebbe, nonostante la faccia da eterno ragazzo, un signore anziano pieno di ricordi e probabilmente in un caldo locale della sua Svezia lo troveremo in una bella tavolata a raccontare e raccontarsi.
Peterson era unico nel suo essere e lo dimostrava in Spagna, al Montjuch, quando riusciva ad andare più veloce della ragione ma anche dei suoi più titolati colleghi.
Anche nelle formule addestrative dimostrò che era fatto di un altra pasta vincendo il GP di Monaco di F3, la corsa che negli anni ’70 apriva le dorate porte della Formula Uno
“Il vichingo volante” si mette subito in luce, piace a tutti, il pubblico lo ammira arrivando addirittura a osannarlo.
Nel ’76 vince un Gran Premio d’Italia guidando da equilibrista su un aderenza precaria che la sua March gli permetteva. Quella corsa verrà ricordata per il gran ritorno di Lauda, dopo l incidente in Germania, noi sugli spalti vedevamo lo svedese abbagliare e l’austriaco arrancare su una Ferrari frenata dalle sue paure.
Dopo un anno di purgatorio sulla Tyrrel a 6 ruote passò alla Lotus dove si ritrovò a far da secondo a Mario Andretti.
Stufo del ruolo imposto dal contratto, durante le prove ufficiali di un Gran Premio, nonostante il team manager Chapman, avesse dato ordine di montare delle gomme inadatte, lo svedese si tuffo’ in pista e ottenne il record del tracciato.
Rientrando ai box non disdegnò un dito medio all’indirizzo di Chapman che con la sua decisione aveva cercato di umiliarlo.
Chi lo conosceva bene sapeva che la grinta in pista era uno sfogo di un carattere volta all’attesa di una chiamata che non arrivò mai. Ferrari pensò a lui quando Lauda ebbe l’incidente, Agnelli consigliò al Drake di prendere Reutemann.
Arrivò in Italia il 10 settembre, stretto in una tuta gialla che avrebbe dismesso presto, infatti, nonostante il suo proverbiale riservo già si sapeva che sarebbe andato alla McLaren.
Il GP d Italia per Peterson durò 300 metri poi il crash, stretto nella sua macchina nero oro lo svedese probabilmente sentiva le sue gambe fratturate in diversi punti ma non dava l’impressione di essere in pericolo di vita.
Ricoverato all’ospedale nella notte si aggrava e dopo una crisi respiratoria e renale il Dio delle corse lo chiama a se.
Con glaciale freddezza Chapman commentò “succede” mentre il compagno Andretti non riuscì ad andare all’ospedale a rendere omaggio al compagno scomparso.
Ronnie con i suoi controsterzi e il suo modo di guidare, ha valorizzato il nostro sport e la sua prematura scomparsa ce lo consegna un cuore di leone che non è riuscito a diventare re della foresta.