Nel 1950 tutto il mondo parla della Ferrari. Il fascino di questa impresa artigiana, che da un sperduto paese dell’Italia riusciva ad imporsi nelle gare battendo case molto più importanti e blasonate, incuriosisce molti appassionati che, potendo permettersela, cercano di comprarne una.
Mentre le macchine da corsa sono graziate e bellissime, le gran turismo, nonostante dei buoni risultati commerciali, sono velocissime ma non bellissime.
Ferrari coniò uno slogan rimasto famoso: A Maranello pagate il motore, il resto è gratis, ma intimamente si rendeva conto che serviva l’intervento di un professionista per rendere le sue GT affascinanti.
A Torino, un giovane venticinquenne di nome Sergio, intuisce che il padre, a vedere le Ferrari GT, vorrebbe provare a dare un tocco di classe a un cavallo di pura razza e potenza. Il giovane è il figlio di Farina, e il padre, Giovanni Battista, è un affermato carrozziere che vede la Ferrari come un traguardo importante.
Il figlio del costruttore intuisce che i due grandi vecchi mai si sarebbero messi d’accordo per incontrarsi, decide di contattare l’agente della Ferrari, Fontanello, e insieme decidono una tattica per portare a incontrare questi autentici monumenti dell’automobilismo. Dopo qualche tentennamento, viene organizzato un pranzo di lavoro lontano dalle rispettive sedi, lontano da occhi sospetti: a Tortona.
Nel giovane Farina è vivo il timore che l’incontro possa avere un esito nefasto, ma, dopo qualche minuto, i due capitani d’industria, gratificati da un desco imbandito, rompono il ghiaccio e gettano le basi per una futura e lunga collaborazione.
All’uscita del ristorante, il vecchio Farina intuisce che con la Ferrari si apre un capitolo importante per la sua azienda e incarica il proprio figlio di seguirne lo sviluppo.
La collaborazione col carrozziere di Torino darà vita a capolavori che il tempo ha rivalutato, rendendoli dei veri gioielli su quattro ruote.
Colpito dalla competenza del carrozziere, Ferrari in persona chiede alla Pininfarina di poter verificare la validità delle Formula Uno nella propria galleria del vento, offrendogli, per la collaborazione, un posto di rilievo nella scocca della macchina da corsa.
Quando, nel ’66, dopo una lunga malattia, il vecchio Farina muore, Ferrari in persona si reca a rendere omaggio all’amico collaboratore e, incontrando il figlio Sergio, quasi a suggellarne il passaggio di consegne, lo invita a rivolgersi a lui usando un più confidenziale “tu”.
Il rapporto tra Ferrari e l’azienda Pininfarina hanno dato vita a delle Ferrari leggendarie ma soprattutto ben vestite.