Abbiamo scelto di omaggiarlo così, nel giorno dell’anniversario della scomparsa di Ayrton Senna, rispolverando un fatto poco noto e che fa porre un quesito non indifferente. Il brasiliano può definirsi un eroe dei due mondi? No, Ayrton non è stato un eroe dei due mondi. O forse non ha fatto in tempo a diventarlo. Categorie propedeutiche a parte, il campeāo non ha mai preso contatto con il Motorsport al di fuori della Formula 1.
E nemmeno quel 1 maggio 1994, quando perse la vita alla curva del Tamburello, nella sua testa c’era l’idea di cercare la gloria altrove. Perché Ayrton aveva tracciato un percorso piuttosto nitido, che avrebbe dovuto portarlo a battere il record di Fangio. Due anni in Williams, fino al ’95, poi la Ferrari. Infine, per chiudere, la Minardi, visto il rapporto di amicizia che lo legava al patron della scuderia e quella promessa fattagli poco tempo prima. Niente Indianapolis, almeno nei piani a medio-lungo termine.
Eppure, qualche anno prima Ayrton ci era andato vicino a quel sogno che per molti eroi a lui contemporanei della Formula 1 era diventato un must, un’ossessione irrinunciabile. Fittipaldi, Andretti, Piquet, ora anche Mansell: a inizio anni ’90 tutti i grandi della massima serie si erano cimentati sull’ovale più famoso del mondo. L’occasione per Ayrton non arriverà mai, ma c’è un fatto, da tanti dimenticato, che avrebbe potuto aprirgli quella strada.
Siamo a dicembre 1992, il tramonto di uno degli anni più avari di soddisfazioni per il pilota brasiliano, per la prima volta in condizione di netta inferiorità tecnica. La “sua” McLaren ora non è più “sua”, distante anni luce dalle esigenze e dalle richieste del pilota brasiliano. Manca il motore, perché la Honda ha gettato la spugna. Così il destino del team di Woking è avviluppato in una trattativa nebulosa per cercare il sostituto. La vicenda si concluderà con un poco appetibile accordo con la Ford, che non fornirà la versione ufficiale del suo V8. Ma, a dicembre ’92, non siamo ancora arrivati a questo punto e le negoziazioni brancolano nel limbo.
Anche i rapporti con Ron Dennis sono diventati freddi, perché nulla sembra far presagire a una McLaren competitiva in vista del ’93. Come se non bastasse, Ayrton, ferito nell’orgoglio, troverà sulla Williams-Renault il rivale di sempre, Alain Prost, riuscito beffardamente a porre il veto su ogni iniziativa del pilota brasiliano per giungere alla corte di Sir Frank.
E’ in questo clima che arriviamo al test di Ayrton con la Formula CART (attuale IndyCar) del team di Roger Penske. Che in America era ed è l’equivalente, grossomodo, della Mercedes degli scorsi anni. Motivazione ufficiale: un semplice test che serve ad Ayrton per cambiare aria e condividere il lavoro, per una volta, con l’idolo d’infanzia Emerson Fittipaldi, pilota ufficiale Penske dell’epoca. Motivazione non dichiarata è la volontà di minacciare l’ambiente Formula 1, che già viveva, a quei tempi, di un poco felice esodo di campioni. Prima di Mansell, infatti, era stato Nelson Piquet a dire addio.
Teatro del test è il Firebird Raceway, nel deserto dell’Arizona, non molto lontano da Phoenix. A disposizione c’è la nuova Penske PC-22 che avrebbe dovuto disputare la stagione successiva, oltre al modello precedente per effettuare delle comparazioni. Il team Penske è al gran completo, con la punta di diamante Emerson Fittipaldi. Senna ci arriva accompagnato soltanto da John Hogan della Marlboro, sponsor comune a McLaren e Penske.
C’è tutto per mettere in difficoltà Ayrton. Un circuito stretto, atipico – poco più di 1 km -, una monoposto pesante e poco agile, con un cambio manuale e sequenziale a cui i piloti del Circus non sono più avvezzi. Ad Ayrton viene concessa solo la Penske del ’92. Senna si cala sull’abitacolo e nei primi giri va a rilento, per prendere confidenza con la vettura. Il team, sulle prime, è quasi incredulo. Ma poi, montate mescole nuove e tornato in pista per un run più lungo, con alcune regolazioni sulla vettura, Senna prende confidenza e con la Penske vecchia di un anno scende fino a 49″07.
Per la cronaca, con la stessa Penske ’92 Fittipaldi arriva a 49″7. Con il modello ’93, invece, Emmo si spinge a 48″5, appena mezzo secondo più veloce del tempo di Ayrton con la monoposto più vecchia. La storia dirà che quel test rimarrà un fatto isolato. Eppure, all’epoca, lo spauracchio di un Senna destinato alla Formula Indy era davvero realtà, visto che la stessa Penske era alla ricerca di un sostituto del campione Rick Mears, appena ritiratosi. E Senna, sulla carta, non aveva più vincoli con la McLaren…
Nel ’93, alla fine, il brasiliano rimarrà nel suo mondo, quello della Formula 1, ferito nell’orgoglio di doversi sorbire una McLaren MP4/8 scarsamente competitiva. Eppure sarà la scelta giusta, perché proprio su quella monoposto che nemmeno voleva guidare, e un contratto a gettone firmato di gara in gara, Senna scriverà alcune delle pagine più leggendarie di una carriera che, funestamente, si stava avviando alla fase conclusiva.