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Formula 1Storia dei Gran Premi

Viaggio tra le curve leggendarie del Circus

Ripercorriamo la storia delle curve più iconiche dei tracciati di Formula 1, tra quelle che sopravvivono ancora oggi e quelle cancellate per motivi di sicurezza

Eau Rouge, Blanchimont e Pouhon a Spa-Francorchamps, il Tamburello a Imola, la 130R a Suzuka, la Parabolica a Monza e la Peraltada a Città del Messico. Quante pagine si sono scritte sui loro asfalti. Alcune di queste curve esistono ancora, pur se snaturate da vie di fuga che sembrano parcheggi del supermercato. Altre sono finite seppellite dalla ventata di sicurezza portata dalla Formula 1 moderna, che da Imola ’94 è intervenuta sui circuiti per portarvi nuovi standard all’avanguardia. È stata questa la fine, ad esempio, delle due velocissime curve Tamburello e Villeneuve, oltre che della vecchia Peraltada, l’ultima svolta dell’autodromo messicano Hermanos Rodriguez. Curve per palati fini, ma che nei primi due casi sono balzate tristemente alle cronache per aver registrato, proprio sul loro asfalto, le morti di Ayrton Senna e Roland Ratzenberger.

TAMBURELLO, TRA DRAMMA E LEGGENDA

E dire che, sul piano della guida, tanto il Tamburello quanto la Villeneuve non ponevano problemi. Erano due svolte rapidissime – verso sinistra il Tamburello, verso destra la Villeneuve – che proiettavano dritte alla violenta staccata della Tosa. Due curve che si affrontavano a gas pieno, come qualsiasi rettilineo. Il problema nasceva dalla ridottissima via di fuga esterna: un limite invalicabile, tanto per il Tamburello quanto per la Villeneuve, e che proprio Senna, nei test del ’94, aveva denunciato. È noto infatti che il brasiliano, divenuto il punto di riferimento per la sicurezza, aveva invocato la rimozione del muro all’esterno del Tamburello, constatandone però l’impossibilità a causa della presenza del fiume Santerno. E proprio su quel muro lo stesso Ayrton perderà la vita solo due mesi dopo, per la rottura del piantone dello sterzo della sua Williams.

curva tamburello imola
© XPB Images

Non che il Tamburello non avesse mai fatto parlare di sé. Ma era opinione condivisa che solo una rottura meccanica avrebbe giustificato un’uscita in quel tratto. Cinque anni prima il dramma di Ayrton, era stato Gerhard Berger a schiantarsi contro il muro di quell’iconica curva, con la sua Ferrari divenuta una palla di fuoco. E, ancora, nel 1987 era toccato a Nelson Piquet, in un crash dai contorni decisamente meno cruenti, ma sufficiente a fargli disertare il GP per i postumi fisici.

E come non ricordare lo schianto nel 1980 di Gilles Villeneuve, sempre nella vecchia Imola, ma stavolta alla curva che porta il suo nome, la Villeneuve. Lo stesso macabro teatro, 14 anni dopo, dell’incidente fatale di Ratzenberger, da ascrivere anch’esso a cause tecniche. Proprio il dramma del 1994 diede il colpo di grazia a queste due curve del Circus dei tempi che furono, sostituite da chicane che, pur nel loro anonimato, hanno avuto il pregio di neutralizzare il rischio. 

EAU ROUGE, LEGGENDA MA A UN COSTO

Poteva fare la stessa fine pure l’Eau Rouge, completamente snaturata nella sua versione del fatidico ’94, quando vi fu piazzata una chicane nel bel mezzo. Quasi una profanazione sportiva, ma che risentiva del trauma emotivo attraversato dalla Formula 1 dell’epoca, travolta dal dramma imolese. Fortunatamente, quella configurazione fu solo transitoria, e a partire dall’edizione successiva l’Eau Rouge riprese il layout di sempre. Non si possono tacere nemmeno qui, però, certe pagine tristi del motorsport. In primis la morte di Stefan Bellof, deceduto durante una gara endurance con il coinvolgimento di Jacky Ickx, suo compagno alla Porsche-Rothmans e uscito invece illeso.

Eau Rouge Circuito di Spa Francorchamps
© Depositphotos

Poi il dramma, ben più recente, di Anthoine Hubert, gioiellino del vivaio Renault – oggi Alpine – che vi perse la vita in Formula 2, e in seguito al quale la via di fuga dell’Eau Rouge ha assunto la sua configurazione attuale. Anche in Formula 1 non sono mancati gli incidenti nell’iconica curva belga, ma fortunatamente senza l’epilogo peggiore. Su tutti i capitomboli di Jacques Villeneuve e Ricardo Zonta nel 1999, a bordo dell’allora neonata BAR Honda, e la carambola di Alessandro Zanardi su Lotus sei anni prima, che costrinse il pilota bolognese a chiudere anzitempo la sua stagione.

IL MITO RIVIVE

Il destino dell’Eau Rouge, fortunatamente, è stato lo stesso di altre curve iconiche, emblemi di una Formula 1 eroica di cui tuttora testimoniano l’essenza. Monza fu toccata da varie modifiche nei primi anni Duemila, che coinvolsero solo la parte iniziale del tracciato, senza intaccarne il cuore pulsante, fatto dalle due svolte di Lesmo, la variante Ascari e la Parabolica. Tutte curve che hanno mantenuto inalterato il loro fascino, anche se, nel caso della Parabolica, l’adozione di una via di fuga in asfalto ne ha un po’ appiattito la difficoltà di guida.

Di nuovo, c’è da rallegrarsi che i continui cambi di layout del tracciato di Silverstone non abbiano mai cancellato le mitiche Maggots, Becketts e Chapel, la Stowe e la Copse, perle che sono state teatro, anche recentemente, di episodi controversi (vedasi il contatto tra Verstappen e Hamilton nel 2021, proprio alla Copse).

suzuka 130r
© Lat Images – Suzika 130R

Del tutto immutato è invece il layout di Suzuka, non uno dei tracciati più antichi del Circus, ma dalla conformazione vecchio stampo. Iconica rimane la curva 1, tanto per le doti di guida richieste quanto per la famosa uscita di Senna e Prost nella velenosa edizione ’90, che consegnò il secondo iride al brasiliano. L’altro piatto forte è la 130R, curva che si affronta ormai in pieno ma che incute sempre una certa soggezione. Chiedere ad Allan McNish, che vi uscì nel 2002 con la sua Toyota, subendo una delle decelerazioni più alte mai registrate. Ma la 130R è ancora là, identica alla sua conformazione originaria.

PASSATO RIMOSSO

Peccato che lo stesso non si possa dire per l’iconica Peraltada, fiore all’occhiello dell’Autodromo Hermanos Rodriguez di Città del Messico. Una sorta di equivalente della nostra Parabolica, impreziosita da un banking che la rendeva unica nel suo genere, nonché particolarmente probante per la tenuta delle gomme. Lì perse la vita nel 1962 Ricardo Rodriguez, uno dei due fratelli cui è intitolato l’autodromo messicano, ma dopo quel fatto non si registrò più alcun dramma. Il fascino della Peraltada derivava dalla difficoltà di guida imposta, per cui era d’obbligo tenere una traiettoria precisa. Ne sapeva qualcosa Ayrton Senna, che durante le prove del 1991 ci uscì dopo una sbandata, cappottandosi contro una pila di gomme, per fortuna senza conseguenze.

Peraltada a Citta del Messico - Curve leggendarie
© f1.com

Ma anche la Peraltada, come il Tamburello e la Villeneuve, vive ora solo nei ricordi, seppellita dal moderno stadio costruito nella parte finale dell’autodromo, dove si snoda un’anonima sezione di curve lente. L’ennesima profanazione verso un lascito della vecchia Formula 1 che invece dovrebbe vivere per sempre.

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Luca De Franceschi

Sono Luca, studio Lettere e seguo la Formula 1 da una decina d'anni. Mi sono appassionato a questo sport durante l'era dei successi di Michael Schumacher con la Ferrari, per poi assistere alle prime vittorie di Fernando Alonso, Lewis Hamilton e Sebastian Vettel. A casa ho diversi DVD sulla storia di questo sport, che mi hanno fatto conoscere i piloti e le auto del passato. Ho anche la passione dei kart, sui quali ogni tanto vado a girare.

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