Williams-Renault FW14, l’arma segreta di Nigel Mansell

Ecco la protagonista di questo nuovo appuntamento: è la mitica Williams-Renault FW14 con la cui versione “Bis” Nigel Mansell riuscì a coronare il proprio sogno di vestire la coroncina d’alloro di Campione del Mondo nel 1992.
Si tratta di una delle macchine più sofisticate di tutta la storia della Formula 1 ed è ricordata con un nomignolo che le è stata affibbiato proprio grazie alla netta superiorità che mostrò in pista: venne chiamata “l’auto venuta da un altro pianeta” e proseguendo nella lettura scoprirete il perchè.
Le sue origini risalgono al biennio 1989-1990, durante il quale le prestazioni delle precedenti FW12C ed FW13 avevano lasciato un po’ di amaro in bocca al patron Frank Williams.
Troppo alte erano state le aspettative messe in campo dalla nuova partnership della casa britannica con la Renault, la quale fornì i rinnovati RS01 da 3500cc, dei V10 di 65° da circa 650 cavalli, proprio per mettere una pezza ai disastrosi V8 di 90° marchiati Judd ed utilzzati dalla FW12 del 1988.
Il paragone con la MP4/4 di Ayrton Senna e le successive McLaren-Honda MP4/5, MP4/5B ed MP4/6 non poteva reggere, per questo motivo nel 1991 venne avvertita la necessità di fare un ulteriore salto di qualità.

Il primo passo fu quello di arruolare un nuovo talento in fatto di aerodinamica: si trattava del giovane Adrian Newey, appena lasciato a piedi a causa delle false promesse della March Engineering (poi Leyton House). Fino ad allora l’ingegnere inglese aveva disegnato monoposto molto innovative ma allo stesso tempo fin troppo estreme nella messa a punto, inoltre le scarse risorse economiche messe a disposizione dai vecchi datori di lavoro non gli avevano mai permesso di esprimere il proprio potenziale.
Grazie alla nuova collaborazione con la Williams ed affiancato da Patrick Head, uno dei migliori direttori tecnici di sempre, Adrian potè così cominciare a sviluppare quella che sarebbe stata la FW14, una vettura avveniristica, competitiva ma anche facile da regolare e da guidare.

Una prima bozza del progetto venne presentata fin da subito a Nigel Mansell, il quale lo ritenne talmente valido da convincersi a rimandare il proprio ritiro dalle competizioni a data da destinarsi.
La nuova monoposto britannica avrebbe avuto a disposizione, in primo luogo, il nuovo propulsore Renault RS3 V10 da 3500cc con angolo di bancata tra i cilindri di 67°: in grado di sprigionare quasi 760 cavalli, la distribuzione era dotata inizialmente di valvole a richiamo pneumatico, associate in un secondo momento a tromboncini di aspirazione ad altezza variabile.
Il telaio era un monoscocca in fibre composite e carbonio dalle forme molto morbide e proporzionate, ma fu soprattutto la dotazione elettronica che rese la FW14 subito molto efficace in pista. Nella versione del 1991, infatti, si cominciarono già a sperimentare quelli che sarebbero stati gli assi nella manica della successiva FW14B: il modello standard, tuttavia, peccò nella stagione d’esordio per un’affidabilità che venne a mancare in più di un’occasione, impedendo a Mansell di poter contrastare fino in fondo l’armata McLaren-Senna.

In vista del 1992, la Williams diede a Newey la completa gestione del reparto tecnico della scuderia, ottenendo allo stesso tempo dalla Renault un’evoluzione del proprio V10 dotato, stavolta, di oltre 760 cavalli nella versione da gara (RS3C): l’azienda francese, inoltre, mise a disposizione anche una versione ancora più estrema del suo motore di punta, chiamata RS4 e che era in grado di sprigionare quella potenza in più necessaria durante le sessioni di qualifica.
Il miglioramento motoristico permise al progettista inglese di poter affinare ulteriormente l’aspetto aerodinamico: il muso basso “a formichiere” venne esasperato, come del resto anche la zona “coca cola” al posteriore.
Tuttavia, come per la precedente FW14, ciò che rese la versione Bis ancora più letale fu l’elettronica di cui disponeva: assieme al già presente cambio semiautomatico al volante (che per i piloti meno esperti rappresentava un problema dal momento che in curva, sistematicamente, urtavano per errore le leve di cambiata), vennero introdotti il controllo di trazione per partenze sempre perfette, le sospensioni attive che regolavano l’altezza da terra e la geometria della vettura a seconda del tratto di pista percorso, l’ABS, la camera car ed il software di diagnostica per il monitoraggio in tempo reale da parte del muretto dei box.

Una serie di aiuti alla guida che permise fin da subito all’accoppiata Mansell-Patrese di dimostrare la propria competitività in pista: la presentazione della nuova FW14 si tenne il 21 febbraio 1991 sul circuito di Silverstone, in una giornata bagnata in cui tuttavia risultò subito veloce e competitiva.
Come del resto fin dal debutto nel primo GP della stagione, negli Stati Uniti, anche se la scarsa affidabilità del cambio semiautomatico influì moltissimo sul rendimento della prima parte di Campionato, costellata da tanti ritiri e pochi risultati.
A partire dal Gran Premio del Canada, la svolta: nonostante l’ennesimo cedimento del gearbox proprio all’ultimo giro quando stava rallentando per preservare la meccanica e salutare la folla, Nigel Mansell non si arrese e tornò alla vittoria grazie ad una tripletta in quel di Magny-Cours, Silverstone ed Hockenheim.
La sfida con il rivale in classifica piloti, quell’Ayrton Senna ai comandi della McLaren MP4/6, continuò nelle gare successive: in Belgio il baffo più veloce d’Inghilterra fu costretto al ritiro per noie elettroniche, a Monza si rifece con gli interessi beffando il brasiliano in crisi di gomme mentre all’Estoril venne squalificato per una gomma che si sfilò in ripartenza dal pit-stop e prontamente riagganciata… in zona vietata.
A Barcellona la FW14 dell’inglese fece scintille in rettilineo con la McLaren-Honda del Campione carioca, per poi spegnersi nel finale di stagione con quel dritto alla prima curva di Suzuka, una sottile trappola psicologica attuata da Senna in cui Mansell cadde mettendo la parola fine ai suoi sogni iridati.

Tutto rimandato al 1992, con la rinnovata FW14B: per essere precisi, la nuova versione era del tutto sperimentale in vista della successiva FW15 “attiva”, tuttavia si rivelò talmente efficace che quest’ultima venne tenuta sotto i teloni dell’azienda britannica fino al 1993.
Chi ben comincia è a metà dell’opera, dicono, e come iniziò Nigel Mansell la stagione ’92 fece presagire subito chi fosse a comandare sulle piste di tutto il Mondo: nella gara di esordio in Sudafrica gli ausili elettronici alla guida misero subito in bella mostra tutto il loro potenziale, rivelando anche la differenza sostanziale tra chi si sentiva a suo agio (Mansell) e chi invece preferiva la vecchia versione “passiva” della monoposto (Patrese).
Sul Kyalami c’era un lungo curvone a destra dietro la pit-lane dei box, da affrontare, secondo il computer, a tutta velocità: Nigel ci riusciva benissimo, mentre l’italiano tendeva a chiudere il gas accusando una certa instabilità al retrotreno.
Riccardo Patrese era abituato ad una guida “old-style”, in cui quando si muoveva lo sterzo si otteneva una risposta immediata, mentre con una macchina “attiva” si registrava un certo ritardo: con un beccheggio all’anteriore ridotto al minimo ed il fondo piatto, la FW14B otteneva sempre più grip all’aumentare della velocità, per cui la minima incertezza sull’acceleratore portava ad un ingente calo di carico aerodinamico ed aderenza.
Ci si doveva fare l’abitudine, ma la differenza tra Riccardo e Nigel era comunque abissale: il baffo più veloce d’Inghilterra, infatti, vinse le prime cinque gare della stagione una in seguito all’altra, ottenne un secondo posto a Montecarlo per uno pneumatico non perfettamente bilanciato e dovette ritirarsi in Canada per uno scontro con la McLaren di Senna.
A Magny-Cours, invece, ebbe un diverbio in pista con il compagno di squadra, prontamente risolto alla ripartenza (causa un violento temporale che si abbattè sul circuito francese) dal momento che Patrese… lo lasciò passare.
Fu poi la volta di Silverstone, dove Mansell toccò il culmine delle potenzialità della FW14B: in seguito ad un già ottimo 1.19.3 durante il turno di qualifica, Nigel chiese espressamente al team di montare un treno di pneumatici nuovi perchè era convinto che la macchina potesse fare di più.
Nel secondo run scese sull’1.18.965, mostrando alla curva Copse una velocità superiore di 29 km/h rispetto a Patrese, ed addirittura di 40 km/h rispetto al brasiliano della McLaren.
La gara, nemmeno a dirlo, fu perfetta ottenendo un’altra vittoria, replicata poi sull’Hockenheimring tedesco.

Il finale di stagione, tuttavia, riservò delle perle molto amare per il britannico della Williams: i contatti della scuderia di Grove prima con Alain Prost e poi con Ayrton Senna lo mandarono su tutte le furie, ma fu un altro motivo a fargli prendere la decisione di chiudere il 1992 per poi trasferirsi in America sulle Indycar.
Nelle ultime gare Mansell aveva perso motivazione, si sentiva stanco ed aveva voglia di cambiare aria: a niente servirono gli sforzi di Frank Williams (assieme a quelli di Ron Dennis per l’eventuale opzione McLaren) nel farlo tornare sui suoi passi.
Così facendo ottenne due secondi posti in Ungheria ed in Belgio, con un’ultima vittoria all’Estoril.
Negli altri GP fu sempre costretto al ritiro: a Monza per il cedimento della pompa idraulica, in Giappone per l’unico KO del motore Renault (in una Suzuka in cui trionfò Patrese) ed in Australia per un contatto fin troppo aspro con il solito Senna.
Ma nonostante tutto, Nigel raggiunse ciò per cui aveva lottato duramente: era finalmente diventato Campione del Mondo.

Eccoci arrivati alla conclusione di questa monografia: riassumendo il palmares della Williams-Renault FW14 (compresa la versione Bis), troviamo 17 vittorie, altrettanti 21 piazzamenti sul podio, un secondo ed un primo posto in classifica Costruttori (rispettivamente nel 1991 e nel 1992) ed un Titolo Piloti, ottenuto da Nigel Mansell con la splendida FW14B.
Per l’epoca in cui venne progettata ed a fronte di tutti gli accessori elettronici di cui disponeva, fu sicuramente la monoposto più tecnologicamente avanzata che potesse esistere e che poi dette vita ad una serie di vetture in cui il progresso ingegneristico potè continuare senza sosta.
Le linee eleganti, il rombo del motore Renault V10, quella livrea giallo-blu… sì, è senza ombra di dubbio “l’auto venuta da un altro pianeta”.